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In rosso le casse della mafia. E le donne dei clan protestano coi boss

Rese “vedove” da centinaia di arresti effettuati dalla Procura di Palermo, le donne di mafia, rimaste a carico della “casa assistenziale” dell’organizzazione criminale, si sono viste dimezzare gli assegni. E la loro protesta – tutt’altro che silenziosa – è stata intercettata dalle microspie piazzate dagli inquirenti.
A cura di Angela Marino
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Donne durante un arresto (foto di repertorio)
Donne durante un arresto (foto di repertorio)

No, ci sono più soldi nelle casse "previdenziali" di Cosa nostra. Le centinaia di arresti di personaggi di spicco della criminalità organizzata hanno generato uno spaventoso crac finanziario nel fondo destinato a mantenere le famiglie dei boss e degli affiliati arrestati e quindi incapaci di provvedere alle mogli e ai figlie. Il "dato", riportato dal quotidiano La Repubblica, è venuto fuori dalle intercettazioni ambientali delle cimici seminate a pioggia dalla Procura di Palermo in città allo scopo di monitorare i contatti delle famiglie legate all'organizzazione. Le microspie hanno dato voce a mogli, compagne e sorelle e madri letteralmente furiose perché gli assegni di mantenimento sono stati dimezzati da chi adesso ha preso il posto di comando. Gli arresti – circa duecento da giugno – hanno sprofondato l'organizzazione in uno stato preoccupante di mancanza di liquidità e hanno reso furibonde le donne che si scagliano contro i nuovi capi – dei quali citano esplicitamente i nomi – che hanno operato i tagli.

È davvero la stagione della crisi per le finanze di Cosa nostra, talmente in deficit che alcuni degli esattori legati alla famiglia dei Bagheria si sono convinti a collaborare con la giustizia per provvedere alla famiglia. Tra le donne di mafia più agguerrite c'è anche Silvana lo Presti, figlia di Salvatore lo Presti della cosca di Porta nuova. Per tacitarla, i capi le avevano regalato addirittura una casa. Ma tra il ricavato del racket e quello del traffico di droga si arrivava a coprire a stento le esigenze delle famiglie già inserite nel circuito della "cassa di assistenza", lo aveva lasciato trapelare già Giuseppe Di Giacomo, boss del clan di Porta Nuova che prima di morire ucciso lo scorso marzo era stato intercettato mentre si lamentava, scrive Repubblica: "Ce ne vogliono 7.500 (euro) per Palermo centro, 2.000 per il Borgo, 12.500 per Porta Nuova".

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