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Opinioni

Impotenti e confusi, pronti a rinunciare al nostro centimetro di libertà

Gli attentati terroristici, le stragi senza un “senso”, i gesti eclatanti di queste settimane ci hanno traumatizzato, soprattutto perché hanno messo in crisi il modo in cui abitualmente spieghiamo a noi stessi perché accadono gli eventi. E senza risposte di senso, il rischio è quello di affidarci a risposte semplici, immediate. con conseguenze devastanti.
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Le radici dell’insicurezza sono molto profonde. Affondano nel nostro modo di vivere, sono segnate dall’indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti, dalla tendenza ad affidare nelle mani di singoli la risoluzione di problemi di rilevanza più ampia, sociale”. Le uniche parole che abbiano in qualche modo rappresentato una pur minima disposta alla domanda “perché?” le ha pronunciate Zygmunt Bauman, tra i maggiori filosofi contemporanei, nel corso di una recente intervista al Corsera. In effetti, la marea di riflessioni, analisi e commenti, alcuni anche di grandissimo spessore, sembra portare con sé solo altri dubbi e altre domande: come si è arrivati a questo punto? Cosa spinge ragazzi giovanissimi a sposare la “causa” del Califfato? Come possono l’emarginazione, l’alienazione, la depressione trasformarsi in odio e rivolgersi contro persone innocenti? Come usciamo da questa situazione? Di chi è la colpa, insomma?

Mai come in casi del genere qualunque risposta sembra essere parziale, inutile, finanche banale. Isis, Islam, emarginazione sociale, lupi solitari, effetto Werther (la diffusione della notizia di un suicidio che produce "emulazioni"), immigrazione, indifferenza, fine delle ideologie, guerra al terrore: concetti che vengono frullati e omogeneizzati finendo con il perdere senso e valore. Fino ad arrivare al trionfo della banalizzazione. "Andiamoli a prendere, ora basta"; "siamo in guerra, chi lo nega è un traditore"; "non tutti i musulmani sono terroristi ma tutti i terroristi sono musulmani. Ci siamo capiti, ecco.

Il punto è che "una minaccia di questo tipo è tanto più spiazzante perché ci obbliga a riconsiderare l'intero modello di società che abbiamo realizzato, nonché i guasti di un modello di integrazione che per anni, decenni, abbiamo considerato come un esempio da seguire e che invece si rivela sempre più essere una gabbia" per decine di migliaia di persone.

Domande sui “demoni che ci perseguitano”, come dice Bauman, insomma. Intendendo  gli esecutori materiali delle stragi, “l’ideologia”, ma anche la nostra angoscia, i nostri sensi di colpa, la sensazione di una lenta e costante assuefazione all’orrore.

La paura generata da questa situazione di insicurezza, in un mondo soggetto ai capricci di poteri economici deregolamentati e senza controlli politici, aumenta, si diffonde su tutti gli aspetti delle nostre vite”, aggiunge, avvertendoci: “Quella paura cerca un obiettivo su cui concentrarsi. Un obiettivo concreto, visibile e a portata di mano”. Ecco un altro demone: quello della guerra agli ultimi, del capro espiatorio, dell’odio che si riversa senza controllo sui soggetti più esposti.

Che poi, in ultima istanza, non è che un prodotto dell’impotenza appresa, della resa a una condizione che ci sembra immutabile e che dunque inconsciamente siamo portati ad accettare. È un concetto mutuato dalla psicologia (negli ultimi anni perfezionato e, in parte, anche superato), che rende bene l'idea di un certo sentimento dell'opinione pubblica.

L’impotenza appresa non è soltanto “l’atteggiamento rinunciatario di un soggetto poco propenso a cercare di modificare il corso degli eventi, in seguito alla ripetuta esposizione  a situazioni incontrollabili”, ma è la percezione di noi stessi in quanto “impotenti” di fronte agli eventi. È, in fin dei conti, un deficit cognitivo perché ci fa percepire noi stessi come imbelli e incapaci di esercitare un controllo finanche sugli eventi significativi della nostra vita.

Decenni fa, per spiegare un certo tipo di comportamento, fu condotto un esperimento piuttosto semplice (fonte):

L’esperimento in questione venne chiamato “triadico”, perché implicava contemporaneamente tre gruppi di animali:

  • Un primo gruppo in cui i cani venivano sottoposti ad una serie di scosse evitabili.
  • Un secondo gruppo in cui gli animali venivano sottoposti ad una serie di scosse identiche, ma impossibili da sfuggire.
  • Un terzo gruppo detto “gruppo di controllo”, in cui i cani non venivano sottoposti a nessuna scossa

Successivamente gli animali venivano condotti all’interno di un box, in cui venivano sottoposti, tutti e tre i gruppi, a  scosse che potevano facilmente evitare saltando la bassa barriera che delimita il box.

In pochi secondi il cane del primo gruppo che aveva imparato a controllare le scosse, sottoposto alle scosse, reagiva prontamente saltando la barriera; anche il cane del terzo gruppo, quello che precedentemente non aveva ricevuto alcuna scossa, faceva lo stesso.

Invece, il cane che aveva fatto esperienza dell’inefficacia delle sue risposte per interrompere la scossa, nonostante potesse facilmente vedere la bassa barriera che lo divideva dalla zona del box senza elettricità, non faceva alcun tentativo di scappare e presto si arrendeva, rimaneva sdraiato mentre subiva passivamente le scosse nel box; senza scoprire che le scariche elettriche si sarebbero potute evitare semplicemente saltando la barriera.

Ecco, in momenti del genere siamo talmente bombardati di scosse che non proviamo nemmeno a immaginare un finale alternativo. Siamo convinti della nostra impotenza e della ineluttabilità del fato. Apprendiamo di essere impotenti a mutare circostanze negative e a prescindere da ciò che facciamo ci rendiamo conto che gli effetti sono sempre gli stessi, drammaticamente negativi. Ci rifugiamo nel pensiero vittimista e deresponsabilizzante. Abbiamo paura perché non capiamo, ma abbiamo anche paura di capire, perché comprendere significa poter agire e chi ha la possibilità di agire ha anche la responsabilità di farlo. Rinunciamo al pensiero critico, disorientati da questo bombardamento al quale non riusciamo a sottrarci. O chiudiamo gli occhi, convinti che non vedere (o non far vedere agli altri, nel caso di alcuni media) sia la cosa più giusta.

Uno svilimento della nostra percezione della capacità di incidere nei processi che ha come diretta conseguenza la tendenza ad affidarsi ciecamente a chi invece promette soluzioni e interventi immediati. Se il caos non è controllabile da noi stessi, insomma, non è detto che “altri” non possano farlo. Quanto siano deleterie le conseguenze di questo approccio è finanche superfluo dirlo. E la sensazione è che rinunceremo al nostro centimetro di libertà in cambio di una pacca sulla spalla accompagnata da un bonario "tranquillo, ci penso io".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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