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Il Venezuela sta per fallire: i motivi di una crisi che uccide bambini e neonati

Il paese sudamericano governato da Nicolas Maduro sta attraversando una grave crisi economica. Gli effetti della contrazione stanno penetrando nella vita reale fino a provocare la morte di bambini e neonati. Ma questo è solo l’ultimo tremendo tassello di una situazione che sta per portare il Venezuela al fallimento.
A cura di Valerio Barbato
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Una donna tiene nelle mani un falso bolivar con la scritta "hambre"ossia fame durante le proteste contro il governo dello scorso Gennaio. @EFE/Miguel Gutierrez
Una donna tiene nelle mani un falso bolivar con la scritta "hambre"ossia fame durante le proteste contro il governo dello scorso Gennaio. @EFE/Miguel Gutierrez

Il Venezuela è sull’orlo del baratro. La violenta crisi economica che sta inchiodando il paese alla miseria, si sta palesando in tutte le sue declinazioni, mietendo vittime ogni singolo giorno. L'emergenza economica, infatti, sta degenerando in un’emergenza sanitaria gravissima: gli antibiotici sono carenti, le soluzioni endovenose scarseggiano, persino il cibo non c’è a sufficienza. I continui blackout costringono i medici a pompare a mano l’aria per tenere in vita i neonati attaccati ai respiratori. La crisi, qui, è spietata fino ad uccidere. “La morte di un bambino è il nostro pane quotidiano” ha detto al New York Times il dottor Osleidy Camejo, chirurgo dell’ospedale di Caracas.

Le strutture ospedaliere sono fatiscenti, le condizioni igienico-sanitarie pessime, in alcuni presidi mancano addirittura sapone e guanti, e i farmaci tumorali si trovano solo sul mercato nero. Ma il dato devastante è un altro ancora: il tasso di morte negli ospedali pubblici dei bambini al di sotto di un mese è aumentato di oltre 100 volte rispetto al 2015 e la mortalità per le neo-mamme è cresciuta di ben 5 volte.

Ma a morire non sono solo i bambini: Samuel, 21 anni, si è spento perché la banca del sangue era chiusa. Aveva bisogno di trasfusioni, ma il giorno di festa dichiarato dal governo per risparmiare energia elettrica gli ha soffocato le speranze. Di storie come questa ce ne sono tante altre, ma cosa sta succedendo realmente al Venezuela? Perché dopo anni di crescita sta ripiombando nel baratro?

Le politiche del governo di Nicolas Maduro

La siccità provocata dal El Niño, fenomeno climatologico che colpisce vaste zone del sudamerica, ha ridotto all’osso la capacità elettrica del paese, ricavata per il 70% dalle centrali idroelettriche. Nicolas Maduro, successore di Hugo Chavez al governo venezuelano, è stato indotto quindi ad attuare politiche drastiche per il razionamento dell’energia: ai 2,8 milioni di dipendenti pubblici è stato ordinato di lavorare solamente il lunedì e il martedì, sono stati programmati blackout della durata di quattro ore al giorno e il fuso orario è stato spostato in avanti di mezz’ora per sfruttare il più possibile la luce del sole. Il Presidente della Repubblica ha autorizzato i cittadini ad occupare le fabbriche che hanno interrotto la produzione e ha annunciato che i loro proprietari saranno arrestati.

Le esportazioni e il prezzo del petrolio

Il Venezuela è il paese con la più grande riserva di petrolio al mondo. Il 95 % dell’export è assimilabile alla vendita all’estero di greggio. Il brusco calo del prezzo al barile, ora in risalita, ha quindi avuto un effetto catastrofico sulle sorti dell’economia del paese sudamericano, tenuto in vita dalla Cina, il suo maggiore acquirente. Quando il barile di greggio è arrivato a costare una cifra inferiore ai 30 dollari le disponibilità liquide del paese si sono ridotte drasticamente, limitando di conseguenza la possibilità di importare beni di consumo dall'estero. Il problema che taglia le gambe al Venezuela, infatti, è la mancata diversificazione dei settori produttivi che non ha permesso al paese di diventare autosufficiente.

L’inflazione e il salario minimo

La spirale inflazionistica del Venezuela è spaventosa. Nel 2015 il tasso di inflazione si è attestato al 141,5% ma nei prossimi due anni le previsioni del Fondo Monetario Internazionale lo danno in fortissimo aumento: Nel 2016 i prezzi saliranno del 481%, mentre nel 2017 addirittura del 1642%. Queste cifre esorbitanti azzerano il potere d’acquisto dei venezuelani che riescono a trattenere moneta per poche ore, un periodo di tempo non superiore a quello degli acquisti quotidiani. Il salario minimo, incrementato sistematicamente dal governo, è adesso di 15.051 bolivar, che corrispondono nonostante i continui aumenti a meno di 50 dollari nel cambio con la valuta statunitense sul mercato nero. Infatti, per comprare un dollaro sul mercato ufficiale sono necessari quasi 10 bolivar, mentre sul mercato nero, un dollaro è arrivato a costare anche oltre i 1000 bolivar.

L’emergenza alimentare

L’87% dei venezuelani non riesce a soddisfare con il proprio stipendio i bisogni alimentari primari. Il cosiddetto “bono de alimentación” previsto per tutti i lavoratori fa arrivare nelle tasche dei cittadini 18.585 bolivares ma, nonostante questo, la gran parte di essi riesce a consumare solo un pasto al giorno e, come se non bastasse, gli scaffali dei supermercati sono vuoti. Mancano i beni di prima necessità come latte, farina e uova a causa dell’impossibilità del governo di pagare il prezzo delle importazioni.

Prodotto interno lordo e occupazione

Mentre prende forma la possibilità di un default da un momento all’altro, l’economia venezuelana sta continuando a vedere il proprio deficit gonfiarsi: il disavanzo primario ha raggiunto il 20% del PIL nel solo 2015. Il prodotto interno lordo si è ridotto del 5,7% nel 2015 e potrebbe toccare, secondo le previsioni, la doppia cifra negativa nel 2016, facendo segnare un -10%. Negli anni 2011-2012 il reddito del Venezuela era arrivato a quota 330 miliardi di dollari, per la fine del 2016 il suo valore si sarà praticamente dimezzato arrivando ad una somma di 185 miliardi. Una delle conseguenze più rilevanti sarà l’aumento del tasso di disoccupazione: dal 17% attuale si passerà al 21% di senza lavoro.

L’opposizione e la richiesta di referendum

Il fronte dell’opposizione sembra compatto nel voler attivare il processo revocatorio nei confronti del presidente Nicolas Maduro. Per avviare la richiesta di referendum sono state raccolte 2,5 milioni di firme, quando ne bastavano solamente 200.000. Adesso per ottenere la consultazione ne servono 4 milioni, cioè il 20% della popolazione. L’ostacolo più grande è, però, riuscire a far vincere il “”, e affinché succeda, c’è bisogno che superi i 7,5 milioni di voti che ottenne Nicolas Maduro quando fu eletto nel 2013. Nonostante tutto, nel caso in cui Maduro venisse revocato dal suo incarico a meno di due anni dalla fine del mandato, non ci sarebbero nuove elezioni e il suo posto verrebbe preso dal vicepresidente, Artistóbulo Iztúriz, peso massimo del chavismo.

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