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Il crudele assassinio del piccolo Grégory Villemin: gettato nel fiume con le manine legate

Grégory Villemin, 4 anni, è stato ucciso 16 ottobre 1984. L’assassino lo ha gettato nel fiume Vologne con le mani e i piedi legati. L’omicidio del piccolo è l’apice di una fitta trama di vendette familiari che la polizia non riuscirà mai districare. A 35 anni dal ritrovamento del corpicino nel fiume Vologne, in Francia, la storia torna in una serie per Netflix.
A cura di Angela Marino
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Un piccolo chalet nella cornice della solitaria regione francese dei Vosgi; un pomeriggio di un noioso martedì di ottobre, un bambino che gioca in cortile con un cumulo di ciottoli e una giovane mamma che stira il bucato in casa. L'anno è il 1984. La storia è quella della famiglia Villemin.

Lo chalet a Lépanges

Christine, operaia tessile e Jean Marie, caporeparto in un'industria automobilistica, si sono sposati giovanissimi. Il loro piccolo nucleo ha visto subito l'arrivo di Grégory, due grandi occhi scuri sotto una cresta di morbidi riccioli. Lavoratori provenienti entrambi da modeste famiglie avevano messo su casa in un accogliente chalet di Lépanges, paesino di poco meno di mille abitanti a pochi chilometri dal fiume Vologne. I giovani sposi lo avevano acquistato e arredato senza badare a spese. Aveva fatto parlare le vecchie zie il mobilio foderato di cuoio del salotto e non erano certo passate inosservate le due auto con cui marito e moglie andavano a lavorare. La roba di verghiana memoria faceva schiumare vicini e parenti in quel paesello di montagna.

Il piccolo Grégory Villemin

Poi c'era lui, Grégory, quattro anni, figlio unico, tenero e sorridente, il coronamento della vita perfetta di quella coppia e il fulcro della sanguinosa faida dei Villemin. Il 16 ottobre 1984, il piccolo Gregory scomparve dal giardinetto in cui giocava con la sabbia. Christine ne denunciò la scomparsa alle 17 e 50, ma il piccolo sarebbe stato ritrovato solo tre ore dopo, alle 21. Mani e i piedi legati sul davanti, perfettamente vestito e con il giubbottino abbottonato, fu tirato su dalle gelide acque del fiume Vologne, sotto il ponte di Docelle. La foto del vigile del fuoco che teneva fra le braccia il corpo del piccolo Gregory fu stampata sui giornali suscitando clamore e scandalo e imprimendo l'infanticidio di Lépanges nella memoria del popolo francese.

Il ‘corvo'

Una telefonata anonima di un informatore soprannominato ‘Il corvo' aveva avvertito la famiglia che il bambino giaceva morto nel fiume a pochi chilometri da casa. Il 17 ottobre, una lettera anonima indirizzata a Jean-Marie Villemin, il padre del bimbo, rivendicò il delitto con queste parole:

Spero che tu muoia di dolore, capo. Non sono i tuoi soldi che potranno ridarti tuo figlio. Ecco la mia vendetta, povero scemo.

Un affare di famiglia

Comincia qui la serie infinita di errori e negligenze giudiziarie che costellano la vicenda. La lettera viene danneggiata dai poliziotti rendendo quindi inattendibile qualsiasi perizia calligrafica. Tuttavia, un indiziato, non tarda ad arrivare: Bernard Laroche, zio di Grégory, viene accusato dalla cognata quindicenne Murielle Bolle, di essere l'assassino del bimbo. Il corpo del piccolo, intanto, è stato sottoposto a una autopsia molto superficiale (anche questo comprometterà le indagini) tanto che non è possibile stabilire se sia morto per annegamento o per ipotermia. Le analisi non escludono che il bimbo possa essere stato ridotto in coma da un'iniezione d'insulina e poi gettato privo di coscienza nel fiume.

La doppia vendetta

Il 9 novembre vengono ritrovate una fiala e una siringa d'insulina a pochi passi dalla scena del ritrovamento. C'è anche una terza ipotesi, però: l'assassino potrebbe aver annegato il piccolo in una vasca da bagno e poi averne spostato il corpo nel fiume per depistare le indagini. La precarietà dei reperti raccolti e l'inquinamento delle indagini non consentono di giungere ad alcuna certezza. Le prove contro Laroche, infatti, si rivelano inconsistenti e l'uomo viene scarcerato nel febbraio dell'85. "Lo ucciderò all’uscita dal lavoro" dice Jean Marie Villemin con gli occhi carichi di odio alla stampa, parlando del cugino. Marie Ange Bolle, la moglie di Laroche chiede che il marito venga messo sotto scorta, la richiesta viene negata e un mese dopo, all’uscita del lavoro, come annunciato, il padre di Grégory uccide Bernard Laroche con un fucile a pompa. La seconda vendetta della saga dei Villemin si è compiuta.

Christine Villemin madre assassina?

Il 5 luglio 1985, Christine Villemin viene arrestata per l'omicidio del figlio su ordine del giudice Jean-Michel Lambert. Tre colleghe di lavoro della giovane operaia l'avrebbero vista il giorno del delitto mentre imbucava una lettera. Una nuova perizia calligrafica, ora, attribuisce a lei la missiva del 17 ottobre, mentre fascette dello stesso tipo di quelle che hanno stretto le manine e i piedi di Grégory, vengono sequestrate dalla cantina dello chalet. Christine – incinta del secondo figlio, Julienn – ingaggia uno sciopero della fame per protestare contro le accuse. ‘Le Monde' e ‘Libèration' dividono l'opinione dei lettori tra innocentisti e colpevolisti proprio come accadrà in Italia, per il delitto di Cogne, anni dopo. Una perizia psichiatrica firmata da i dottori Brion e Leyrier, definisce la donna "priva di istinto materno" e affetta da "disturbi nevrotici di carattere isterico e perverso".

L'affaire Villemin visto da Marguerite Duras

Nell'affaire Villemine entra anche la scrittrice Marguerite Duras che, in un articolo pubblicato sul quotidiano ‘Libération', dal titolo "Sublime, necessariamente sublime Christine" si avventura in una rilettura visionaria e romanzata del delitto. Senza conoscere gli atti giudiziari e senza neanche averle parlato, addita la donna come ‘sublime' madre assassina, una Medea francese diventata figlicida in nome della propria libertà. "Forse ha ucciso senza sapere" dice l'autrice de l'Amante, che si cimenta in una immaginifica ricostruzione, secondo la quale la donna avrebbe annegato "dolcemente" il figlioletto nella vasca da bagno di casa, "sotto l' impulso di un subitaneo amore, incommensurabile, sconfinato nell'apatia" e poi lo avrebbe legato per abbandonarlo lontano dallo chalet. Lungi dall'esserle grata di quella ‘difesa', la Villemin la taccia di pazzia. Undici giorni dopo l'arresto, Christine viene scarcerata. La sua posizione verrà archiviata per ‘totale mancanza di prove'.

Ventitré anni di errori

Dopo 23 anni di indagini sommarie e inquinate, nel 2007, lo Stato della Francia si autocondanna – per "inefficienza nell'adempimento del proprio dovere" e "totale mancanza di controllo nella conduzione delle indagini"- a risarcire alcuni tra i protagonisti della storia. Prima fra tutti la vedova Laroche, che si vide negata la protezione del marito nonostante le minacce ricevute da Villemine e poi i genitori di Grégory, che hanno visto Christine ingiustamente detenuta.

2017: riaperte le indagini sull'Affaire Villemin

Uno spiraglio di luce nel caso si apre nel giugno 2017 quando si diffonde la notizia della riapertura delle indagini grazie all'utilizzo del software Anacrim che consente di rintracciare possibili discrepanze tra le migliaia di pagine dei verbali. Il nuovo filone ha portato nel registro degli indagati il nome della prozia del bimbo Jacqueline Jacob e di suo marito, Marcel Jacob. Secondo questa nuova ipotesi sarebbe stato Bernard Laroche a rapire il bimbo per poi consegnarlo al prozio, che l’avrebbe ucciso. A un passo dalla soluzione si scopre  che ancora una volta, non ci sono elementi per portare in aula i due indagati.

Ultimo capitolo: la strana morte del giudice Lambert

A pochi giorni dalla notizia dalla riapertura di uno dei cold case più misteriosi di Francia, l'ex giudice Jean-Michel Lambert, che istruì le indagini per il caso trentatré anni prima viene trovato morto in casa sua con una busta di plastica legata attorno alla testa. A 35 anni dal ritrovamento del corpicino nel fiume Vologne, in Francia, la storia torna in una serie per Netflix.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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