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Opinioni

Il Regno Unito che lascia l’UE vota contro i partiti e contro l’austerity

I tre partiti di maggioranza del paese non sono riusciti a controllare nulla di un referendum che è diventato un voto del paese reale contro la politica.
A cura di Michele Azzu
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Non sono bastati i sondaggi degli ultimi giorni. Non sono serviti i tantissimi richiami all’ordine dei politici, della destra Tories – i conservatori al governo di David Cameron – e la sinistra del Labour di Jeremy Corbyn. Non è servito il nuovo sindaco musulmano di Londra, Sadiq Khan, né la campagna del partito nazionalista scozzese, o le minacce di Angela Merkel e di Barack Obama.

Il Regno Unito ha votato compatto per uscire dalla Unione Europea. Elettori di destra, di sinistra, xenofobi e progressisti, i neo-nazisti anti immigrazione di Britain First, chi ha eletto il governo e chi da sempre si è schierato all’opposizione. Circa 16 milioni di cittadini ha votato per restare nell’Unione Europea, mentre un milione in più, circa 17, ha voluto la Brexit.

Il 52% dell’indipendenza ha vinto contro il 48% degli europeisti. Sui 389 centri locali, quelli che hanno voluto l’uscita dall’UE superano di oltre il doppio quelli che hanno votato in maggioranza per restare. A guardare la mappa del voto c’è da far spavento: tutta la Gran Bretagna, fatta eccezione per la Scozia, l’Irlanda del Nord e la città di Londra, ha votato Brexit.

Quella che sembrava un'ipotesi assurda solo pochi mesi fa, ora è realtà: benvenuti nell’Europa senza più Gran Bretagna. Il “giocattolo” politico sbandierato dal premier David Cameron per anni, al fine di ottenere concessioni dall’Europa – concessioni che ha poi anche ottenuto lo scorso febbraio – si è rivoltato contro il suo creatore, è diventato un mostro capace di mangiarlo vivo in un colpo.

La responsabilità del referendum sarà per sempre di David Cameron, è lui che da premier ha portato il paese sul punto di lasciare l’Unione Europea – facendo perfino campagna contro che ciò accadesse. Mentre lo spauracchio dell’UE cattiva, che impone i regolamenti, che causa la disoccupazione, che permette agli immigrati di entrare nel paese veniva agitato dai manipoli politici dell’Ukip di Nigel Farage, dalla parte del partito al governo Tories guidata dall’ex sindaco di Londra Boris Johnson, dai neo-nazisti di Britain First.

E che dire della sinistra del partito Labour (il PD britannico) e del suo confusissimo leader Jeremy Corbyn, uno che ha sempre fatto campagna sul welfare e i diritti e che sull’Europa non ha fatto che inciampare? Lui che col suo partito ha sostenuto per rimanere in UE, e che ha iniziato ogni discorso di questa campagna referendaria parlando male dell’Europa e delle sue politiche (per aggiungere, poi, alla fine di ogni discorso che era comunque meglio rimanere).

Ma perché questo voto nel Regno Unito? Perché anche l’onda di indignazione scatenata dal recentissimo omicidio della parlamentare del Labour Jo Cox da parte di un folle che gridava “Britain First” non è servito a cambiare l’esito del referendum? Perché tutto il Regno Unito ha votato “Leave”, anche nel Galles che riceve ingenti fondi comunitari (che ora perderà) e che si dava come luogo favorito perché vincesse il “Remain”?

Perché la gente è arrabbiata, fuori da Londra, fuori dalla capitale della finanza e dalla culla dell’establishment dove tutto costa carissimo e dove i magnati russi e sauditi compramo palazzi su palazzi… fuori dalla bolla c’è la realtà di un paese fortemente impoverito dalla crisi, dalla disoccupazione, e in cui il welfare e i servizi ospedalieri sono stati colpiti dai tagli imposti dal governo negli anni passati (realtà, questa, che è stata spesso distorta sui media britannici).

Perché la gente non ha più alcuna fiducia nei partiti, al governo e all’opposizione, grandi e piccoli, di sinistra e di destra: la gente non si fida. Questo voto è indiscutibilmente un enorme “vaffa” all’establishment e ai partiti, che non sono stati in grado di proteggere i redditi e il lavoro dei cittadini. Il partito dei Tories è ora spaccato, e probabilmente David Cameron dovrà dimettersi nei prossimi giorni.

Il Labour, che pure con Jeremy Corbyn aveva guadagnato nuovi consensi, specialmente fra i giovani, ha perso il controllo dei suoi elettori: impossibile intercettarli. I reportage degli ultimi giorni mostravano intere città roccaforti della sinistra, stroncate dalla crisi, in cui i cittadini votavano in massa per l’uscita. Debacle anche del partito nazionalista scozzese, ora in maggioranza al parlamento locale, che nonostante porti a casa la vittoria del “Remain” nella regione, sconta una bassa affluenza alle urne scozzesi, sotto le aspettative – mentre il turnout nel paese è stato al 72%.

Questo voto, oltre ai partiti inglesi, è chiaramente un voto contro l’establishment del’Unione Europea, un sistema ormai largamente percepito come una lobby di tecnocrati non eletti, messi su una poltrona per fare gli interessi delle banche e delle multinazionali, senza mai rispondere agli elettori. Loro che impongono le riforme del lavoro ai paesi mediterranei – vedi le proteste in Francia degli ulitmi due mesi – loro che hanno ucciso la Grecia con un austerity durissimo, loro che vogliono i TTIP, loro che non hanno saputo gestire l’emergenza rifugiati.

Benveuti nell’Europa post Brexit, benvenuti nella realtà in cui i cittadini – britannici come europei – soffrono per le conseguenze della crisi, non hanno più fiducia nei partiti e nelle istituzioni, e vogliono aggrapparsi a qualsiasi cosa, fosse anche una stupidissima ipotesi di un Regno Unito indipendente dall’UE, pur di poter cambiare qualcosa. Pur di potere farla pagare a quei politici che li hanno abbandonati.

Siamo di fronte a un paese spaccato in due: con un voto così serrato sarà durissima capire in che maniera il governo procederà ad uscire dall’UE, e al momento non sappiamo ancora se David Cameron deciderà di dimettersi. Ci sono 2 anni di trattative davanti per procedere con la Brexit, e potrebbe anche esserci un secondo referendum, magari dopo qualche mese di economia in picchiata e sterlina iper-svalutata (in mattinata la valuta britannica ha perso valore anche contro quella dello Zimbabwe, per intenderci).

Siamo di fronte a un paese e a una Unione Europea in cui nessun partito è riuscito a controllare il dibattito e i propri elettori. Ora pagheremo tutti le conseguenze di questo disastro, a cominciare dagli italiani nel Regno Unito, per finire con tutti noi a rischio di una nuova crisi europea.

È una bella coincidenza che questo referendum contro l’UE arrivi esattamente un anno dopo un altro referendum, quello della Grecia che votava contro l’austerity di Bruxelles. Forse è in quel momento, in quella pessima gestione sociale ed economica della crisi – in cui si è deciso di non rispettare la volontà di un popolo – che è nato questo scempio di cui Brexit è solo il secondo atto.

Ora arriva il peggio. Le conseguenze economiche e monetarie per il Regno Unito, per l’Unione Europea e per tutti noi. Che al momento sono imprevedibili, ma preoccupanti. Ora arriva l’epoca in cui i neo-nazisti e l’Ukip la faranno da padrone, in Inghilterra come a casa nostra, coi nuovi nazionalisti a battere il ferro dei referendum per uscire dall’UE in tutta Europa. Ora arriva l’epoca del “si salvi chi può” contro l’immigrazione.

Ora arriva l’epoca della Brexit.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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