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Il racconto dei bambini in fuga dall’Isis: “Mangiavamo solo melanzane”

I bambini fuggiti da Mosul e dalle altre città irachene sotto il controllo dell’Isis raccontano le sofferenze patite in oltre due anni di “prigionia”.
A cura di Mirko Bellis
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Una bambina nel campo profughi di Debaga, Iraq (Getty Images)
Una bambina nel campo profughi di Debaga, Iraq (Getty Images)

Mentre prosegue la battaglia per liberare Mosul dal controllo dei miliziani dell’Isis, cresce il numero delle persone in fuga. Nel campo di Debaga, a circa quaranta chilometri da Mosul, ci sono più di 16.000 bambini, sfollati da varie zone nel nord dell'Iraq. “Molti di questi bambini sono scappati dalle zone controllate dal cosiddetto Stato islamico e hanno camminato per lunghe ore con le loro famiglie per raggiungere un posto sicuro”, riferisce l'Unicef.

I volontari dell’organizzazione internazionale nei giorni scorsi hanno visitato questo campo profughi e hanno raccolto le testimonianze dei bambini. I loro racconti hanno confermato che, nonostante la loro giovane età, hanno già avuto una vita piena di sofferenze. Nelle parole dei bambini emergono i dettagli della fuga con le famiglie, i chilometri percorsi a piedi, la povertà e la difficoltà a trovare qualcosa da mangiare. Queste sono alcune delle loro storie. C’è Maher, un ragazzo di 14 anni che assieme ai genitori e alla sorellina Zahra ha intrapreso un viaggio a piedi di 15 ore prima di arrivare al campo di Debaga. “Ho camminato con queste scarpe”, ha raccontato indicando lo stato dei suoi piedi e le ciabatte di plastica consumate. Il dodicenne Haitham, invece, ha detto di essere andato a scuola per quasi due anni. “L’unica scuola che avrei potuto frequentare era una scuola Daesh”, ha affermato, usando l’acronimo in arabo per indicare lo Stato islamico. “Volevano solo insegnarci come usare le armi – ha raccontato fingendo di sparare con le mani – ma io non volevo. Non voglio usare le armi, non mi piacciono le pistole”. “Il mio unico desidero– ha concluso Haitham – è di ritornare in una scuola normale”.
Hassan, un esuberante bambino di nove anni ha spiegato come la sua famiglia non avesse più soldi né cibo. “E’ stata la povertà a spingerci a fuggire”. E ha proseguito: “L’unica cosa che avevamo da mangiare erano melanzane”.
Sana, una ragazza dall'apparenza poco più che maggiorenne, ha detto di essere la madre di tre figli. “Ho camminato per ore e ore – il suo racconto – portando le mie due bambine”. Ma non ha mai parlato del suo terzo figlio, affermano i volontari che hanno raccolto le loro testimonianze.

E dai villaggi appena liberati dalle forze governative e dai Peshmerga curdi in prima linea nell'offensiva contro la roccaforte dell’Isis in Iraq, continuano i racconti delle vittime che hanno vissuto oltre due anni sotto il giogo dell’autoproclamato Califfato. “I seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi avevano la barba e i capelli lunghi. Si vestivano di nero. Per tre anni non ci hanno fatto andare a scuola”, hanno confessato ad Ansa due bambine di 10 e 8 anni, provenienti da Hawija, a 140 chilometri a sud di Erbil. Ora le bambine sono al sicuro, ospitate nel campo profughi di Debaga.

Per Peter Hawkins, rappresentante dell'Unicef in Iraq: "I bambini sono veramente al centro di questo conflitto. Molti sono in stato di shock. Hanno bisogno di un luogo sicuro per giocare, imparare e sognare, per poter essere bambini ancora una volta”.  “I bambini di Mosul hanno già sofferto enormemente negli ultimi due anni. Molti di loro rischiano di rimanere intrappolati tra le linee di combattimento e colpiti dal fuoco incrociato", ha ribadito Hawkins. Attualmente ci sono circa 33.000 sfollati nel campo di Debaga, la maggior parte fuggiti dopo l’inizio dell’offensiva per liberare Mosul. Secondo le stime dell'Unicef in tutto l’Iraq, 4,7 milioni di bambini sono stati direttamente colpiti dal conflitto e sono 3,5 milioni quelli non frequentano la scuola. Inoltre, oltre mezzo milione di bambini potrebbero essere ancora a Mosul.

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