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Il profilo “perfetto” per il dopo Napolitano

Fra poche ore Giorgio Napolitano dovrebbe annunciare la data delle sue dimissioni dalla Presidenza della Repubblica: intanto, si lavora sul suo successore. E gli indizi cominciano ad essere molti…
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Anche senza giocare ad “Indovina chi”, come ripete ossessivamente Matteo Renzi, è del tutto evidente come da tempo sia ormai a buon punto la discussione per individuare il successore di Giorgio Napolitano. Del resto, non potrebbe essere altrimenti, considerate le tempistiche e la volontà (che poi sarebbe necessità) di non replicare quanto visto lo scorso anno con il Parlamento impotente ed incapace di trovare una convergenza attorno ad un nome che non fosse quello del “vecchio” inquilino del Quirinale.

Napolitano, come noto, potrebbe / dovrebbe annunciare già nel tradizionale discorso di fine anno la data delle sue dimissioni da Presidente della Repubblica: il 14, forse il 15 gennaio, al termine del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea. L’iter della successione potrebbe concludersi dunque nel breve volgere di qualche settimana e non appare azzardato pensare ad un nuovo Capo dello Stato già in carica nella prima settimana di febbraio. Certo, a patto che non si ripeta quanto già visto dopo le politiche del 2013, con un Parlamento ostaggio dei franchi tiratori, dei giochetti di palazzo e soprattutto di una visione di “corto respiro”, che legava la nascita del Governo alla presenza di un “certo tipo” di figura al Quirinale.

Un errore, o meglio un limite, che Renzi non ha intenzione di ripetere, soprattutto nella considerazione che questo Governo “al momento” non ha (più) bisogno di uno scudo protettivo ed è perfettamente in grado di “autodeterminare la data della propria fine”. Così, l’obiettivo dichiarato diventa quello di pensare al prossimo Capo dello Stato “a prescindere” da considerazioni particolari o dalla frenesia del momento politico attuale. Senza scossoni e senza clamorosi colpi di scena, ovviamente. E soprattutto senza venir meno ai propositi di questa fase della legislatura, che si traducono nel doppio binario: le riforme (e in questo caso le figure di garanzia) si fanno con l’opposizione, l’ordinaria amministrazione e le scelte politiche a maggioranza (e senza troppe concessioni, anzi).

Ovviamente tra i propositi e la pratica concreta resta una certa distanza, che si traduce nella difficoltà di mettere d’accordo le parti in gioco (quelle “realmente in gioco”, dunque con l’esclusione, discutibilissima ma chiara, del Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia e probabilmente Sinistra Ecologia e Libertà) e di scongiurare l’onda dei franchi tiratori, pronta a bruciare candidati e ad “indurre” altre scelte, magari di estremo compromesso. Ufficialmente l’identikit resta sempre lo stesso: una figura autorevole (e ci mancherebbe anche…), attualmente non legata a doppio filo ad una fazione politica, in continuità con le esperienze precedenti e possibilmente “non un tecnico”. A queste caratteristiche si aggiungono altre “suggestioni”: un candidato non divisivo, conosciuto all’estero e la cui salita al Colle dia “l’impressione del cambiamento” (il riferimento, come sottolineano alcuni analisti, è alla possibilità che per la prima volta nella storia della Repubblica sia una donna ad ottenere tale riconoscimento). E, infine, decisiva sarà la tattica: un candidato buttato nella mischia senza paracadute non ha chance di farcela, così come uno che si è speso molto in colloqui e trattative. Servirebbe un democristiano nell'anima, suggerisce qualcuno. E c'è da giurare che alla fine sarà così.

I nomi? Sempre gli stessi, ovviamente.   

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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