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Il processo è troppo lungo: lo Stato risarcisce un milione a ladri già condannati

Ad Asti il Tribunale avrebbe dichiarato la prescrizione di un gruppo di nomadi accusati di ricettazione (ma già condannati per associazione a delinquere): scatta il dissequestro di tutti i beni: un milione di euro.
A cura di B. C.
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È una vicenda che fa molto discutere, quella che arriva da Asti e racconta oggi La Stampa. La storia è quella di una banda di ladri sinti che avrebbe rubato in varie case del Nord Italia, tra Piemonte, Liguria e Emilia-Romagna. I malviventi però sono stati fermati: riconosciuti come ladri, processati la refurtiva gli è stata sequestrata. La loro fortuna è rivolgersi a degli ottimi avvocati. I legali infatti riescono a staccare il reato di ricettazione da quello relativo ai furti. Nonostante una condanna per associazione a delinquere, i furfanti non devono sostener nessun processo per ricettazione, grazie alla prescrizione. Lo Stato dunque ha restituito loro il bottino: un milione di euro in denaro e beni vari.

Questo è quanto scrive a La Stampa a proposito dei ladri:

Nel 2006 la banda era da tempo sotto osservazione da parte dei carabinieri che avevano pedinato per mesi con microspie e gps le loro scorribande dall’Astigiano alle case violate forzando porte e finestre o raggirando gli anziani proprietari con mille scuse. Tra le zone più colpite l’Alessandrino, la città di Genova e i paesini dell’Appennino Tosco-Emiliano. Nel bottino finivano contanti e oggetti preziosi, ma anche forme di Parmigiano trovate in frigo. Razziatori di professione. Il gip di Asti Aldo Tirone, applicando una legge speciale del 1992 aveva approvato le richieste del pm Luciano Tarditi di sottoporre a sequestro preventivo i beni dei presunti ricettatori e dei loro familiari. Si riteneva che si trattasse di “provento di attività criminale”.

Massimo Coppero nel suo pezzo racconta poi l’andamento del processo:

All’udienza preliminare nell’autunno 2007 il giudice Cesare Proto, ora in Cassazione, accogliendo le tesi della difesa aveva suddiviso l’inchiesta: il processo per l’accusa di associazione per delinquere era stato affidato al tribunale di Asti, i casi singoli di furto erano stati spediti ad una miriade di uffici giudiziari competenti per territorio e la ricettazione era stata rimandata al pm Tarditi per la “citazione diretta” come previsto per i reati precedentemente gestiti dalle vecchie preture. Il guaio è che i sequestri erano basati sull’accusa di ricettazione, l’unico tra i reati contestati per i quali è prevista l’applicazione della norma su sequestri e confische. Se il processo per associazione per delinquere è giunto nel 2010 a pesanti condanne in primo grado (oltre 25 anni complessivi per i 12 imputati, con pene che arrivavano fino 5 anni di reclusione), esito diverso hanno avuto le altre accuse. Dei furti non si sa più nulla, sparpagliati tra una decina di tribunali di città della pianura Padana. Sulla ricettazione i movimenti del fascicolo sono incerti. Assente per malattia il pm Tarditi, ieri in procura e in tribunale nessuno ha voluto rilasciare dichiarazioni. Pare che il faldone abbia sonnecchiato per un po’ di anni sulla scrivania del pm, che poi ha proceduto alla citazione diretta davanti al giudice onorario Massimo Martinelli. Il quale è stato sommerso di eccezioni formali da parte dei difensori dei circa 30 imputati delle famiglie di sinti, trovandosi costretto a fissare numerose udienze solo per dirimere gli aspetti procedurali. Così si è arrivati al 2015, quando Martinelli ha dovuto prosciogliere tutti per «intervenuta prescrizione». Proprio quanto volevano gli avvocati, che avevano cercato in tutti i modi di far perdere tempo.

Alla fine quindi i beni vengono tutti dissequestrati e le spese dell'affitto del terreno scelto per custodire auto e caravan sarebbe state messe in conto al Ministero della Giustizia.

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