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Il Paese delle spintarelle ai figli e dei miti che cadono

Quindi è ormai certo che l’ex senatore PD Lorenzo Diana, simbolo della lotta alla camorra, abbia chiesto un certificato “fasullo” che serviva al proprio figlio. Dicono che sia una “leggerezza” e invece è un reato. Ci ingolfiamo già sul senso di appartenenza mica ad una razza (e saremmo razzisti) ma alla nostra famiglia: e allora questo è un paese vergognosamente familista.
A cura di Giulio Cavalli
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Quindi è ormai certo che davvero il l'ex senatore Lorenzo Diana, simbolo della lotta alla camorra e uomo simbolo di una Casal di Principe che vuole essere altro oltre a Gomorra ha chiesto un certificato falso per il proprio figlio. Lo conferma in viva voce a Fanpage Luigi Cuomo, Presidente di SOS Impresa e in passato dirigente sportivo, che dichiara di essere rimasto stupito dalla richiesta dell'ex parlamentare del PD. "E' stato un errore" ha detto Cuomo, "etico e morale e non certamente penale".

Tralasciando il fatto che Lorenzo Diana sia coinvolto in un processo ben più grave (sulla gestione degli appalti della Cooperativa CPL Concordia, su cui spetterà alla magistratura fare chiarezza), la "spintarella al figlio" è un'abitudine sociale che merita di essere analizzata nei suoi riscontri pubblici. In poche parole Cuomo dichiara che il fatto sia "grave" più che altro perché viene da un "simbolo dell'antimafia" e, aggiunge, sicuramente se non si fosse trattato di Lorenzo Diana non ci sarebbe stata nemmeno un'azione della magistratura. In poche parole in nome della visibilità del soggetto un reato (perché di falso e di abuso di ufficio si tratta: un reato, quindi) dovrebbe avere un peso diverso in base a chi lo commette.

E sono in molti a pensare in questo Paese che nei doveri del "buon padre di famiglia" rientri una rassicurante sistemazione dei propri figli sfruttando tutti i canali possibili (etici o meno, legali o meno): quanti padri vi capita di avere sentito, nei discorsi in ufficio o al bar, che si dichiarano "pronti a tutto" per il bene dei propri figli comprendendo in quel "tutto" anche la privazione dei diritti di qualcun altro? Fateci caso: sono tanti, tantissimi. E anche nell'intervista in "difesa" (piuttosto blanda) di Cuomo sembra davvero che non si riesca a pensare agli "altri": che in questo caso sono il ragazzo e la famiglia di chi non ha ottenuto il posto che gli spettava magari proprio per un certificato amichevolmente falso del figlio dell'ex senatore.

Siamo la patria dei "cocchi di mamma" e dei "belli di papà" che vengono allevati nel recinto protetto dei diritti lasciando chiuso fuori qualche dovere: la famiglia diventa un nucleo da difendere prima di tutto e nonostante tutto il resto e così il federalismo delle responsabilità si stringe, piuttosto che tra nord e sud, addirittura da famiglia e famiglia e così chi non è mio parente di sangue in fondo è già un po' straniero. Organizziamo convegni sui "beni comuni", difendiamo l'acqua e la terra e intanto accettiamo un diritto di "più" solidarietà tra i nostri sodali, ci ingolfiamo già sul senso di appartenenza mica ad una razza (e saremmo razzisti) ma alla nostra famiglia: e allora questo è un paese vergognosamente familista, xenofobo già con gli abitanti del cortile di fianco al nostro.

Ma la cosa peggiore, forse, è che non ce ne accorgiamo: stiamo in un processo di imbarbarimento sociale che ci ha spento gli occhi per vedere le nostre deboli piccolezze e le orme che lasciamo nel campo dei diritti degli altri. Non ci pensiamo, una distrazione, diciamo così, una leggerezza e intanto il recinto dell'etica diventa un passo alla volta sempre più largo, meno responsabile e responsabilizzante.

L'aspetto che delude nel caso Diana (ma ce ne sono centinaia al giorno) è proprio questo: che Lorenzo Diana, con una vita spesa per difendere gli oppressi e perseguire gli oppressori, non abbia colto il germe della prepotenza anche solo in quel favore chiesto. E che voglia dirci che il "figlio" sia per di più un'attenuante.

Pensiamoci.

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