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Opinioni

Il nuovo referendum per l’indipendenza in Scozia può fermare la xenofobia della Brexit

La Scozia prepara la bozza di un nuovo referendum per l’indipendenza. Ma la vera intenzione è ottenere autonomia dal Regno Unito. Per rimanere nel mercato unico europeo anche dopo la Brexit, ed evitare danni all’economia. E dietro c’è una guerra fra civiltà.
A cura di Michele Azzu
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Il primo ministro della Scozia, Nicola Sturgeon, leader del partito nazionalista scozzese, ha presentato la bozza per un secondo referendum per l’indipendenza della Scozia. “Sono determinata perché gli scozzesi riconsiderino la questione dell’indipendenza prima che il Regno Unito lasci l’UE”, ha detto Sturgeon.

La doccia fredda dall’estremo nord della Gran Bretagna, arriva sulle spalle del governo britannico di Theresa May che in questi giorni ha già dovuto scontare dure critiche dalla politica – anche internazionale – per le sue posizioni estreme sull’immigrazione, oltre che assistere ad un preoccupante crollo del valore della Sterlina che ha raggiunto il valore più basso degli ultimi 31 anni.

La Scozia, dunque, si prepara a ripercorrere un percorso che in pochi mesi potrebbe portarla a diventare una nazione indipendente. A solo due anni di distanza dal primo referendum per l’indipendenza del 2014, in cui il paese di 5 milioni di abitanti votò al 55% per rimanere dentro il Regno Unito. La bozza del referendum, pubblicata una settimana dopo l'annuncio, riporta un quesito identico a quello tenuto nel 2014, e anche questa volta sarà permesso a 16 e 17enni scozzesi di votare.

Dal 2014 ad oggi, però, è cambiato tutto. Anzitutto, l’intenzione è sì quella di rendersi indipendenti dal Regno Unito, ma soprattutto di rimanere all’interno dell’Unione Europea da cui il Regno Unito dovrebbe uscire durante il 2019 (ammesso che il governo mantenga l’impegno di innescare la procedura di uscita, l’art. 50 del Trattato di Lisbona, il prossimo marzo dando il via ai due anni di transizione).

E anche l’economia è cambiata. Perché mentre nel 2014 le aziende e l’opinione pubblica avevano paura delle ripercussioni economiche che un voto per l’indipendenza avrebbe potuto generare… ora la paura è che il paese possa subire i danni di una Brexit per cui ha votato contro: allo scorso referendum del 25 giugno, infatti, il 62% degli scozzesi ha votato per rimanere dentro l’Unione Europea (a differenza del 48% dei britannici).

La Scozia, dunque, vorrebbe ottenere maggiore autonomia, esattamente come sta cercando di fare la città di Londra (che da sola ha 10 milioni di abitanti, il doppio di tutta la Scozia) per mezzo del nuovo sindaco di sinistra Sadiq Khan, che ha di recente affermato di volere ottenere concessioni in tema di tasse, passaporti bancari e lavoratori europei. La Scozia, allo stesso modo, ora vuole trattare col governo centrale per ottenere più indipendenza su pesca e agricoltura, immigrazione e trattati internazionali. E, soprattutto, per potere rimanere nel mercato unico europeo anche se l’Inghilterra ne uscirà.

“Siamo su un terreno inesplorato”, ha spiegato Sturgeon, “Nessun paese ha mai lasciato l’Unione Europea e quindi abbiamo carta bianca, c’è la possibilità di essere creativi e guardare a diverse opzioni che permettano di rispettare il voto nelle diverse parti del Regno Unito”. Soluzioni “creative” per le diverse regioni sono già state ipotizzate nel caso dell’Irlanda, ad esempio, che oltre a essere uno stato dell’UE rimane un partner privilegiato del Regno Unito, e per cui potrebbero esserci eccezioni nella mobilità fra i confini, a differenza dal resto dell’UE.

La vera questione non sembra, dunque, l’indipendenza della Scozia, ma il mercato unico dell’Unione Europea. Questo referendum serve per esercitare pressione politica contro la strada della “Brexit dura”, intrapresa dal governo nelle ultime settimane. Una serie di posizioni molto dure sull’immigrazione – dalle liste per i lavoratori immigrati nelle aziende, al censimento nelle scuole, fino alla minaccia di cacciare via i dottori stranieri dalla sanità – ha portato il paese a rendere chiara l’intenzione, oltre di voler lasciare l’Unione Europea, anche di abbandonare il mercato unico europeo.

Questa soluzione, nota come “Brexit dura”, è resa necessaria dall’intenzione di Theresa May di voler chiudere una volta per tutte la porta in faccia all’immigrazione dall’Europa. Per l’UE, infatti, accedere al mercato unico implica la libera circolazione dei cittadini. Ma per il Regno Unito abbandonare il mercato unico significherà inevitabilmente dure ripercussioni economiche per il paese, per cui aumenteranno i prezzi dei beni importati nei supermercati, diventeranno più difficili le esportazioni (anche al netto della Sterlina svalutata), e gli istituti che operano nella finanza e le banche – fondamentali nell’economia del paese – assieme alle aziende automobilistiche e farmaceutiche, hanno già promesso di voler lasciar il paese.

La "Brexit dura", secondo quanto ha riportato il Times in questi giorni, potrebbe costare la bellezza di 66 miliardi di sterline l'anno al Regno Unito (è la stima massima con un calo del 9.5% del PIL). Ora che la proposta di un nuovo referendum in Scozia è stata lanciata, dunque, il governo britannico dovrà decidere se concedere al paese abbastanza autonomia da permettere di rimanere all’interno del mercato unico europeo anche senza di loro. “Se il Regno Unito esce anche dal mercato unico c’è instabilità, incertezza e danni alla crescita economica”, ha detto Sturgeon, “Questo dibattito è su cosa darà alla Scozia la prospettiva migliore per costruire il proprio futuro economico”.

Ma esiste anche un altro scenario: che la Scozia possa diventare il fattore decisivo per fermare tutto il Regno Unito dalla strada della “Brexit dura”, quella fuori dal mercato unico. Dopotutto, anche i sostenitori della Brexit sanno che ne deriveranno danni economici importanti. Il premier scozzese Sturgeon, pochi giorni fa, aveva anche lanciato la proposta di una coalizione dei partiti contrari alla “Brexit dura”, che coinvolge oltre il partita nazionalista scozzese anche la sinistra del Labour e parte del governo conservatore contrario alla forma più estrema di uscita dall’UE.

Ora il governo di Theresa May sarà costretto a fermarsi, e forse a ripensare la guerra contro gli immigrati – per rimanere nel mercato unico. Perché la paura di una Scozia indipendente, di un Regno Unito spaccato per sempre è uno strumento potente. La stessa May aveva affermato pochi mesi fa: “Non permetterò mai ai nazionalisti di rompere la preziosa unione delle quattro nazioni del Regno Unito”. E anche se i sondaggi danno ancora l’indipendenza come perdente, al referendum del 2014 il voto per una Scozia libera era dato al 30% e raggiunse molto di più: il 45%.

Come per la Brexit, che fino al giorno del voto era da tutti data come impossibile – perfino dai politici che hanno voluto il referendum e che ora si trovano al governo – un difficile referendum per l’indipendenza della Scozia potrebbe diventare realtà contro ogni previsione. E il governo lo sa. Theresa May, la nuova Thatcher anti-immigrati che intende riportare il paese ai fasti del passato non vuole passare alla storia come il premier che ha lasciato andare via la Scozia dal Regno Unito (fra le braccia dell’Unione Europea).

Alla fine dei conti, dietro la battaglia economica del mercato unico europeo e della Brexit, c’è una guerra di civiltà: quella multiculturale, diversa, giovane e aperta della Scozia contro quella xenofoba delle liste per identificare gli immigrati e delle agressioni razziste in pieno giorno nella Britannia di Theresa May. “Dall’istruzione alla sanità, dalla tolleranza all’ambiente la Scozia è la prima delle nazioni del Regno Unito”, ha di recente affermato Sturgeon.

Sturgeon, è stata anche l’unico leader di partito ad opporsi duramente al razzismo diffuso dal governo nei giorni scorsi: “Il governo sta usando il referendum della Brexit come una licenza per la xeonofobia”, ha detto il premier scozzese, “Abbiamo il dovere di opporci ad ogni intolleranza”. L’intenzione della Scozia è chiara, così come chiare sono le intenzioni del governo di Theresa May e quelle dell’Unione Europea.

E se anche questa volta – come è avvenuto per la Brexit – l’azzardo politico portasse a un evento di portata storica come l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, anche quando questo non fa comodo a nessuno?

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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