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Opinioni

Il negazionismo sarà reato (e forse non è la soluzione migliore)

Dal Senato via libera ad ampia maggioranza al provvedimento sul negazionismo. Ma la discussione resta apertissima.
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Dal Senato della Repubblica è arrivato il via libera al disegno di legge numero 54, “modifica all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”. Si tratta in poche parole del ddl sul reato di negazionismo, provvedimento che porta la prima firma della senatrice Amati (Partito Democratico) e dalla gestazione travagliatissima (la prima presentazione è del marzo del 2013, con successivi passaggi in Commissione Giustizia, relatore di maggioranza Rosaria Capacchione). Il via libera dall’Aula di Palazzo Madama è arrivato con 234 sì. 3 no e 8 astenuti.

Le modifiche della Commissione Giustizia sono state radicali, rispetto ad una prima formulazione del provvedimento che si era attirata le accuse di “bavaglio alla libertà di espressione” e “censura controproducente”. L’esigenza che ha mosso il lavoro della Commissione Giustizia era quella di “elaborare un testo in grado di contemperare le esigenze poste dalle fonti internazionali ed europee in materia di contrasto del negazionismo con quelle della tutela della libertà di espressione” ed ha portato ad un testo che si compone di un solo articolo diviso in due commi.

Il Senato ha dunque approvato la modifica all’articolo 3 comma 1 della legge del 1975 che punisce “con la pena della reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” ed inoltre prevede “la reclusione da sei mesi a quattro anni, per chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza. Inoltre vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e ne sanziona con pene detentive la partecipazione e la promozione o direzione”: per tali condotte istigatorie viene introdotto ora il requisito della “pubblicità”. In più la nuova norma prevede un aggravamento della pena nel caso in cui “la propaganda, la pubblica istigazione e il pubblico incitamento si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti rispettivamente dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale”.

La formulazione attuale, se confermata alla Camera dei deputati, rappresenterà una sorta di "compromesso accettabile", anche se non risponde all'intera gamma delle obiezioni in materia. Come vi raccontavamo tempo addietro, infatti, contro l'introduzione del reato di negazionismo si erano espressi autorevoli storici ed esponenti del mondo della cultura:

Le contraddizioni e gli errori del ragionamento impostato dal Governo (allora) e dal Parlamento adesso sono così riassunti:

  1. si offre ai negazionisti, com’è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d’espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente.
  2. si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall’autorità statale (l’“antifascismo” nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l’inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale.
  3. si accentua l’idea, assai discussa anche tra gli storici, della “unicità della Shoah”, non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altro evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.

Insomma, si legge ancora nella lettera aperta firmata da molti fra i più autorevoli studiosi italiani: “L’Italia, che ha ancora tanti silenzi e tante omissioni sul proprio passato coloniale, dovrebbe impegnarsi a favorire con ogni mezzo che la storia recente e i suoi crimini tornino a far parte della coscienza collettiva, attraverso le più diverse iniziative e campagne educative. La strada della verità storica di Stato non ci sembra utile per contrastare fenomeni, molto spesso collegati a dichiarazioni negazioniste (e certamente pericolosi e gravi), di incitazione alla violenza, all’odio razziale, all’apologia di reati ripugnanti e offensivi per l’umanità; per i quali esistono già, nel nostro ordinamento, articoli di legge sufficienti a perseguire i comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo terreno“.

Ecco, la battaglia è culturale, etica e politica. Ed è quasi un dovere rispondere ad un appello del genere.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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