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Opinioni

Il momento d’onestà di cui ha bisogno Napoli

Le 7 giornate di Napoli: voti comprati, 9 sparatorie, 4 feriti, 2 morti. Siete seri quando dite che il problema della città è Gomorra?
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È una sensazione che ti si attacca addosso. Uno schifo profondo che ti invade, che ti fa sentire sporco. Così sporco che ti chiedi come faccia una parte della città a girare il capo davanti alla puzza di marcio che sale. Perché a Napoli è diventato tutto normale. E chi denuncia è "sputtanapoli".

A Napoli è tutto normale, anche quello che è successo negli 7 ultimi giorni. È normale morire a 19 anni. È normale essere colpiti da proiettili vaganti solo perché in una calda sera di primavera si è avuto l'ardire di prendere un po' di fresco fuori al balcone. È normale stare seduti in macchina ed essere raggiunti da colpi sparati a casaccio per fare l'ennesima "stesa" (per i non napoletani qui viene spiegato bene il concetto di "stesa"). È normale vendere per 10 euro la propria dignità, il proprio voto.

Ma di chi sono le responsabilità, materiali, politiche e culturali di quanto accade?

A sparare sono ragazzini tossici che chiamarli camorristi vorrebbe dire elevarli a un rango più elevato della loro povertà culturale. Ragazzetti senza "padri", in cerca di un'identità che questo stato non riesce a dargli. Come i guerriglieri dell'Isis, in costante ricerca di un'identità sociale che solo l'azione criminale riesce a restituirgli.

La responsabilità del contesto socio-culturale dal quale provengono è da ricercarsi in quella sinistra che per 25 anni ha governato ininterrottamente la città – e che oggi si permette anche di invitare al non-voto -. I membri delle babygang di oggi sono nati e cresciuti in pieno "rinascimento napoletano" eppure non hanno alcun senso di appartenenza alla comunità. Il loro è un mondo digitale ma non interconnesso. Il loro universo è il quartiere, il vicolo, la piazza. Un regno così digitale ed effimero da diventare importantissimo. Un regno che è frutto dell'incapacità politica di costruire un tessuto urbano che colleghi – veramente – centro e periferia. Una mancanza di cui è responsabile una classe dirigente che in 25 anni non ha mai avuto "un'idea" complessiva di città. Un'idea di Napoli che vada oltre le micro-identità rionali, gli spazi "autogestiti" (e per questo ontologicamente incapaci a interconnettersi a realtà altre al loro "credo"). Sono 30 anni che si sente dire che c'è bisogno di fare rete, eppure le uniche reti che resistono sono quelle dei pescatori di Marechiaro.

E infine la responsabilità culturale di chi "difende la città" senza se e senza ma. Quelli che gridano allo "sputtanapoli" ogni qual volta si cerca di parlare dei problemi della città. Quelli che criticano Gomorra perché la realtà è peggiore della fiction. Quelli che non hanno colto che "me servene ‘e firme"  sì è ripetuto nelle fila del centrodestra quando si sono dovuti scegliere i presidenti di municipalità. Una responsabilità il cui fardello pesa, anche, sulle spalle del sindaco che, dopo gli ultimi due omicidi di camorra, è riuscito a non dire nemmeno una parola su quanto sta accadendo nella sua città.

Da chi "difendono la città" queste persone? Perché sarebbe ora che lo dicessero. Da chi la stanno difendendo? Dalla camorra? Dai politici corrotti, da chi?

La colpa culturale dell'impunità della criminalità e della politica è chi grida allo "sputtanapoli". Perché se ogni qual volta si prova a parlare di Napoli si deve essere subissati di insulti tutto diventa più complesso, più difficile. Non poter parlare del degrado vuol dire alimentare il degrado stesso e la responsabilità di questo clima è da ricercarsi in chi attacca con veemenza chiunque provi a parlare dei problemi di Napoli. Moderni "Funiculì funiculà" incapaci di distaccarsi dall'oleografia della città. Reazionari che non vanno oltre la dialettica del "pro" o "contro" Napoli. "Fascisti culturali" che impediscono un dibattito serio sui problemi endemici che assillano la città. Perché se "le chiacchiere stanno a zero" i dati no: secondo l'Eurispes, in Italia dal 1999 al 2003 si sono verificati 666 omicidi per motivi di mafia, camorra o ‘ndrangheta, ma solo in Campania sono stati 311, ovvero il 46,7% del dato complessivo nazionale; secondo l'Istat nel 2011 il tasso di omicidi nel comune di Napoli è risultato pari a 2,7 per 100.000 abitanti, un valore doppio rispetto al tasso della provincia partenopea e del Mezzogiorno (entrambi 1,3) e ancora più alto se messo a confronto con quello relativo all’Italia (0,9). Ciò che non dice questo dato è che il 2010 e il 2011 sono gli anni con meno omicidi in Campania dagli anni '70 a oggi. A dirlo non è solo l'Europa o "Roma" ma la stessa Federico II che, qualche mese fa, ha presentato un rapporto nel quale la città risulta essere quella con il più alto indice di criminalità.

Chi si scandalizza di fronte a questi numeri o è in cattiva fede o mal informato. O peggio, colluso.

Nove sparatorie, quattro feriti e due morti in sette giorni: a Napoli è davvero necessario un momento d'onestà.

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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