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Il metodo Bonaparte (ovvero del trionfo di Matteo Renzi)

Vincitori e vinti nella corsa al Quirinale, nella consapevolezza che, da domani, cambierà tutto. E non cambierà nulla. Perché la scena è sempre sua, di Matteo Renzi.
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L’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, con un consenso notevole anche rispetto alle posizioni ufficiali delle forze politiche, è stata considerata unanimemente come un “capolavoro politico” di Matteo Renzi. I dubbi e le perplessità di chi vedeva l’imposizione di un candidato “esterno” al patto del Nazareno come un azzardo ed un problema per la tenuta della stessa maggioranza di Governo, sono stati spazzati via dalla decisione di Angelino Alfano di votare al quarto scrutinio “il candidato unico” del PD. Così come le minacce di chi ora parla di “tre maggioranze da gestire” e ipotizza scossoni nel percorso di riforme costituzionali sembrano piuttosto velleitarie (come farebbe Berlusconi a giustificare una retromarcia su leggi e riforme già votate più volte?).

Insomma, la tattica di Matteo Renzi ha messo Alfano e Berlusconi con le spalle al muro: il primo, da ministro dell’Interno, non avrebbe potuto “non votare” il candidato avanzato dal capo del Governo senza trarne le estreme conseguenze e lasciare la maggioranza (e, come noto, la prospettiva di tornare all’opposizione o peggio ancora alle urne è terrificante per gran parte dei parlamentari centristi); il secondo, privo di agibilità politica, stretto fra un partito in disfacimento, gli interessi personali, gli “agguati” dei fedelissimi e l’assenza di alternativa, non ha avuto la forza (né la possibilità, ad onor del vero) di strappare del tutto.

Inoltre, la mossa di Renzi (l’imposizione del candidato “perfetto”) ha compattato il Partito Democratico (con la minoranza che non ha potuto, e forse voluto, insistere sulla carta “Prodi”) e ha “distolto” Sel dal perseguire strade alternative (nel lungo periodo ben più pericolose per l’ex rottamatore), dal momento che non era un mistero la considerazione dello stesso Vendola per Mattarella. Infine, è parsa chiara ed evidente la marginalizzazione tanto del Movimento 5 Stelle (ci ritorneremo, anticipandovi però che la lettura “perdente a priori” della linea grillina stavolta non ci convince per nulla) che delle forze della destra, con Lega Nord e Fratelli d’Italia inutilmente aggrappate alla bandiera Feltri e in difficoltà anche sul piano della propaganda populista.

Come nota Il Post, poi, “tutte queste cose con lo stesso Parlamento che solo due anni fa si era reso responsabile di quel grande e famigerato fallimento nella ricerca di un successore di Napolitano”. Condizioni mutate proprio “grazie” all’intraprendenza e alla spericolatezza politica di Renzi, che dopo aver forzato i tempi ed i modi del suo approdo alla Presidenza del Consiglio, non ha lasciato nulla di intentato, accelerando e frenando a seconda del momento, ma mantenendo costantemente l’iniziativa, senza mandare mai la palla nel campo opposto.

È lui che decide, è lui che muove i fili, su questo ci sono pochi dubbi. Non ci sono retroscena, dietrologie o complottismi che reggano. E, del resto, come nota Gilioli su L’Espresso, “di fronte non solo a una vittoria di Renzi e (soprattutto) a un presidente non Nazareno, il cospirazionisimo può essere autoconsolatorio; ma è la risposta sbagliata”.

È una versione edulcorata e ragionevole di bonapartismo, quella che propone Renzi. Che dal punto di vista della prassi politica, in attesa della riforma costituzionale (e forse dei regolamenti delle Camere), si nutre della commistione fra i livelli (esecutivo e legislativo), del “fastidio” per i tempi lunghi della dialettica parlamentare, delle prove di forza, dell’utilizzo sistematico di decreti e questioni di fiducia. E che dal punto di vista comunicativo fa della disintermediazione una componente essenziale, che concorre a determinare continuamente immagini di alterità e conflitto: il nuovo contro il vecchio, il fare contro il discutere all’infinito, il progresso contro il conservatorismo. Quasi "a prescindere" dalla discussione di merito e dai bilanci reali. E con abbondanza di promesse ed "orizzonti di speranza". 

La scelta di Mattarella si inserisce completamente e perfettamente in questo contesto. Ed è una chiara indicazione di ciò che ci aspetta: non la fine delle larghe intese sulle riforme, non la crisi della maggioranza, non la ritrovata unità del partito, ma la completa subordinazione della politica italiana alla figura di Matteo Renzi, con l’uscita di scena del “tutore” Napolitano e l’azzeramento definitivo dei “vecchi competitor”. Che ciò sia un bene “a prescindere” non è cosa che ci sentiamo di assicurare. Che ciò continui per anni, nemmeno. Dipenderà, stavolta sì, dagli altri, quelli che ora sono ai margini, Salvini e grillini soprattutto: se saranno capaci di elaborare una proposta coerente e completa, si giocheranno la partita del consenso. Che poi è quella che conta, anche per il Bonaparte fiorentino (il "vampiro del consenso").

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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