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Il M5S torna all’attacco del Jobs Act: “È un fallimento, ridurrà il Paese in povertà”

Il gruppo dei senatori del M5S analizza gli ultimi dati sull’occupazione e attacca: “Da quinta potenza economica del mondo alle porte degli anni Novanta (con lo Statuto dei lavoratori intatto) a Paese in via di sviluppo sotto la stella dell’ebetino, che del Fmi ascolta solo le voci a lui favorevoli”.
A cura di Redazione
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Nel giorno in cui la componente renziana del Governo rilancia alcuni dati positivi sull’occupazione diffusi dal centro studi del CNA, il Movimento 5 Stelle torna ad affondare il colpo sul Jobs Act. La base di partenza questa volta è data dall’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, in cui compaiono considerazioni di grande rilevanza sul rapporto fra precarietà e produttività. “Il livello di regolamentazione del mercato del lavoro non ha evidenziato correlazioni statisticamente significative con la produttività complessiva”, si legge in un passaggio del documento, che i senatori grillini interpretano come un chiaro stop al modello basato sul “taglio dei diritti dei lavoratori” che dovrebbe essere un modo per aumentare la competitività dell’economia.

Dunque, spiegano i parlamentari del M5S, “il Fmi riconosce addirittura che le determinanti della crescita economica e della produttività stanno altrove:spesa per investimenti, ricerca e sviluppo, competenze dei lavoratori, concorrenza nel mercato dei beni”. Il problema è che anche il Jobs Act si inserisce nel solco delle riforme tese a smantellare l’impianto di diritti e tutele garantite ai lavoratori, senza recepire una indicazione fondamentale: “L’unica via per uscire da una recessione di portata storica è mantenere elevata la qualità del lavoro, stimolando le competenze dei lavoratori e curando l'innovazione tecnologica attraverso la ricerca e gli investimenti”. Del resto, ribadiscono i senatori grillini, “se mai esistesse una correlazione tra flessibilità del lavoro e produttività, di certo sarebbe inversa: all'aumentare della prima diminuisce la seconda”.

Il Governo pare andare in direzione opposta e l’Italia “si avvia così a diventare un bacino di manodopera non qualificata e a basso costo, dove è possibile fare shopping di imprese a prezzo di saldo ed esportare poi i lauti profitti fuori dai nostri confini”. Una possibilità da scongiurare con decisione:

È urgente un'inversione di rotta completa: il mondo del lavoro deve diventare il centro di una politica economica che garantisca una domanda interna solida, alti salari reali, profitti costanti e investimenti privati elevati, come da Costituzione. Perché la svolta diventi realtà è obbligatorio ripudiare i dogmi neoliberisti, riconoscere il ruolo propulsore degli investimenti pubblici, soprattutto durante una crisi economica, e cancellare con un colpo di spugna l'umiliante legislazione sul lavoro degli ultimi quindici anni, a partire dal "pacchetto Treu" del 1997 fino ad arrivare ai giorni bui del "contratto a tutele crescenti", presa in giro linguistica e tragedia sociale.

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