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Il lavoro dei giovani italiani? Lo scelgono i genitori

Secondo una ricerca condotta da Linkedin, solo il 48% dei giovani italiani è completamente libero nella scelta della propria carriera universitaria o lavorativa. Nel 52% dei casi, i genitori influiscono sulle decisioni, indirizzando i figli verso le proprie esperienze passate o quelli che considerano “porti sicuri”.
A cura di Claudia Torrisi
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I giovani italiani non scelgono autonomamente percorso di studi e carriera. La maggior parte di loro si fa consigliare-indirizzare dai genitori. Secondo una una ricerca realizzata da Linkedin durante l'ultimo "Bring your parents day" – una sorta di incontro tra professionisti e genitori in cui i figli mostrano in cosa consiste il loro lavoro – il 52% delle famiglie è coinvolto nella fase della decisione del percorso di studi o lavorativo dei figli. Ciò significa che solo il 48% dei giovani è completamente libero nella scelta del proprio futuro. Il dato è molto diverso dalla media globale, per cui solo il 40% dei genitori ha influenza in decisioni di questo tipo. Il confronto è ancora più stridente se si paragona la situazione italiana a paesi come Germania o Giappone, dove le famiglie che lasciano liberi i figli di decidere sulla loro professione raggiungono il 70%. Ci sono anche paesi in cui l'ingerenza dei genitori è più forte, come la Cina, dove il 55% dei ragazzi è indirizzato dalla famiglia – i cosiddetti "genitori elicottero" – o il Brasile, che raggiunge il picco del 73%.

La ricerca di Linkedin dà una parziale spiegazione di questo fenomeno: il 55% dei genitori intervistati ha dichiarato di "non sapere molto" sul lavoro svolto dai figli. Nella maggior parte dei casi parliamo di "mestieri nuovi", come il "data scientist" – colui che analizza il flusso di informazioni del web – sconosciuto all'83% delle famiglie. Il 75% dei genitori ha poi dichiarato di non sapere cosa sia il radio producer, il social media manager (73%), il revisore di bozze (71%), lo stilista (69%) e il pr (65%). Ci sarebbe quindi alla base di questa ingerenza la mancanza di conoscenza e la necessità delle famiglie di vedere il figlio dirigersi verso "porti sicuri". E questo è vero specialmente in Italia. Non è un caso che le facoltà predilette come scelte dai genitori restino quelle tradizionali, come Medicina o Giurisprudenza, a scapito di altre più competitive ma "oscure", come Matematica (che secondo AlmaLaurea ha tasso di occupazione dell'88% a cinque anni dal titolo). Del resto, nel nostro paese il 62,9% dei giovani ha conseguito lo stesso titolo del padre o della madre. E, con tutta probabilità, andrà all'università solo se uno dei genitori è laureato. La famiglia, insomma, cerca sicurezze rifacendosi alle proprie esperienze, anche se datate e probabilmente non al passo con i tempi. Meglio orientare un figlio a diventare avvocato, commercialista o medico. Se questo è vero, c'è anche l'altro lato della faccenda: i genitori consigliano, indirizzano, ma i ragazzi non se la sentono di rischiare.

Ma il ruolo della famiglia nel futuro dei giovani italiani non si ferma alla scelta dell'università o del corso da frequentare. Secondo una ricerca del 2011 dell'Isfol nella ricerca di una posizione lavorativa un ruolo chiave viene rivestito da "amici, parenti, conoscenti". E questo vale anche con i "nuovi lavori", come le numerose start up proliferate negli ultimi anni. Nell'88,6% dei casi – secondo uno studio condotto da Università di Bologna e Aster – le risorse finanziarie per iniziare un'attività d'impresa arrivano da parenti – soprattutto i familiari più stretti – e amici. I centri per l'impiego e istituzioni finanziarie rivestono un ruolo assolutamente marginale nella ricerca e creazione del lavoro del giovani italiani.

La famiglia resta il welfare dei giovani italiani

Del resto, probabilmente, la famiglia influisce anche per via di una presenza "fisica" che ancora conserva nella vita dei giovani italiani. Secondo i recenti dati Eurostat riferiti al 2014, sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 34 anni vivono a casa con i genitori. Una percentuale del 66%, quasi 20 punti in più della media di tutti i paesi dell'Unione europea (48,4%).  I numeri sono particolarmente alti nella fascia tra i 25 e i 34 anni, quando generalmente si finiscono gli studi: vivono ancora a casa con almeno un genitore il 49% dei ragazzi italiani di quell'età, contro il 29,2% in media dei coetanei nel resto del vecchio continente.

C'è però un dato da non trascurare quando si mette a confronto la situazione dei giovani nostrani con quella degli altri paesi europei. Se nei paesi scandinavi i ragazzi lasciano casa presto – le percentuali di chi vive ancora con i genitori non superano il 10% – è anche perché vanno incontro a una protezione sociale e a uno scenario diversi. Tra quel 66% di giovani italiani che vive in casa con la famiglia non ci sono solo studenti e disoccupati, ma anche lavoratori con uno stipendio non sufficiente per l’indipendenza. Basti pensare a un tirocinante aderente a Garanzia Giovani. Del resto, un'analisi dell'Osservatorio JobPricing per Il Sole 24 Ore ha quantificato lo stipendio medio di un dipendente under 35 italiano a 1.312 euro netti su 13 mensilità, uno dei più bassi in Europa. I giovani, quindi, restano a casa. O, spesso, pur vivendo da soli vengono aiutati dalla famiglia. Ed è un aiuto economico non indifferente: ci sono 948 mila giovani, sui 4,4 milioni che vivono da soli, che non coprono le spese mensili con il proprio reddito. Per il Censis, solo nel 2014 la generazione tra i 18 e i 34 anni è costata alle famiglie circa 4,8 miliardi di euro.

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