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In Italia tenere aperto il Colosseo è “essenziale” ma per una mammografia servono anni

Il Governo equipara la fruizione di siti archeologici e luoghi di cultura ai servizi essenziali. Intanto quelli veri colano a picco, tra sanità inefficiente, corruzione e sfruttamento. Ecco l’Italia “renziana”, falsa come una vecchia donna piena di botulino.
A cura di Davide Falcioni
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Mia madre qualche giorno fa ha dovuto prenotare una mammografia in un ospedale pubblico italiano. Un normale esame di controllo su una donna di 60 anni. Se tutto va bene dovrà attendere più di un anno, a meno che non deciderà di rivolgersi a una struttura privata. I tempi di attesa, nell’efficiente Regione Marche, baluardo del PD, sono infatti abissali: 438 giorni per una mammografia, 135 per una visita cardiologica, 249 per una colonscopia. Sarebbero servizi sanitari di prima necessità, ma se sei malato e non hai soldi per abbreviare l’attesa fai tranquillamente in tempo a morire.

Da ieri sera anche Musei e luoghi di cultura sono servizi pubblici essenziali: l’assemblea dei lavoratori del Colosseo, che ieri hanno ritardato l’apertura dell’Anfiteatro Flavio di tre ore, ha avuto un epilogo farsesco nel corso della serata, quando il Consiglio dei Ministri ha varato un provvedimento che sostanzialmente equipara la fruibilità dei grandi siti archeologici e dei monumenti all’accesso ai servizi sanitari. Siamo però al paradosso: un turista che voglia visitare i Fori Imperiali non deve trovare impedimenti di tipo sindacale, ma una donna che voglia prenotare una mammografia o un cittadino che abbia bisogno di una risonanza magnetica è costretto ad attendere mesi, anzi anni.

Quel che più è grave è che una normalissima assemblea dei lavoratori è stata trasformata, dall’efficiente  propaganda renziana, in una sorta di sabotaggio del diritto di migliaia di turisti di visitare le bellezze italiane. Il premier ha twittato da par suo: "Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l'Italia. Oggi decreto legge #colosseo #lavoltabuona". Renzi e i suoi sodali  dimenticano che quello di sciopero è un diritto riconosciuto dalla Costituzione, che ne prevede il ricorso “nell'ambito delle leggi che lo regolano” (articolo 40). Esattamente quello che è accaduto ieri.

Riepiloghiamo: un gruppo di lavoratori del Ministero dei Beni e delle Attività culturali chiede da mesi il pagamento “delle indennità di turnazione e delle prestazioni per le centinaia di aperture straordinarie (dal primo maggio a quelle notturne) che rappresentano il 30% del salario”, oltre all’apertura di una trattativa sul rinnovo del contratto. I soldi non si vedono (a proposito: con la cultura spesso  non si mangia, ed è vero), così l’11 settembre i sindacati (CGIL, Cisl e Uil) comunicano l’intenzione di scioperare per due ore e mezzo il 18 settembre: “L'assemblea, proprio per ridurre al minimo i disagi dei visitatori, è stata calendarizzata ad inizio turno, ha comportato la chiusura per due ore e mezza al pubblico e alle 11 i cancelli sono stati regolarmente riaperti", spiegano i sindacati.

Chiunque capirebbe che non c’è nulla da eccepire. Invece il governo decide di cavalcare l’onda e in serata vara un decreto legge “contenente misure urgenti per il patrimonio storico-artistico della Nazione. Il testo è composto da un unico articolo e chiarisce che l’apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura rientra tra i servizi pubblici disciplinati dalla legge 146 del 1990”. Cosa dice tale norma? Che “sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti  della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita,  alla  salute, alla libertà  ed  alla  sicurezza,   alla   libertà   di   circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla  libertà di comunicazione”. L’accesso a monumenti e siti archeologici evidentemente non rientra in nessuna di queste fattispecie.

Eppure da giorni monta la rabbia dei cittadini, fomentati da una narrazione di quanto accaduto completamente squilibrata e fasulla. Non solo il PD, ma anche il Movimento 5 Stelle, hanno rispolverato  l'armamentario adorato dai benpensanti, carico di ovvietà e luoghi comuni tanto cari alle maggioranze rumorose, che accomunano corruzione politica e morale, immigrati “ciucciasoldi”, sindacalisti venduti e lavoratori scansafatiche. Il governo, da par suo, continua a millantare un’efficienza che semplicemente non esiste. L’abbiamo visto con l’Expo, evento diventato terra di saccheggio delle mafie e degli speculatori, che hanno realizzato il "grande evento" sfruttando il lavoro di migliaia di persone. Lo vediamo con i veri “servizi pubblici essenziali”: sanità e lavoro, ridotti ai minimi termini, tra tempi d'attesa estenuanti, disoccupazione galoppante e sempre più giovani che "fuggono" all'estero. Per non parlare della millantata “ripresa economica”. Il risultato è che l’Italia renziana somiglia sempre più a una vecchia prostituta d’alto bordo, carica di botulino, silicone e trucco, ma in verità vuota, finta e squallida.

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