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Il diritto e il dovere d’interrogare il male. Con Franca Leosini, giornalista-giornalista

Guardare il male negli occhi, rubare l’anima per poi restituirla: perché le polemiche intorno alle Storie Maledette di Franca Leosini sono assolutamente pretestuose e sbagliate.
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Il viaggio nella ghiaccia del Cocito non è indolore. Non è gradevole e non è comodo. Attraversare gli inferi sa di epico ma non è sempre avvincente o entusiasmante: è un viaggio nelle paure, nel terrore di ciò che è stato, di quel che potrebbe accadere, di quel che certi gesti lasciano. Franca Leosini conduce ‘Storie Maledette' dal 1994: i signori dei social media e della polemica quotidiana che dura il tempo di un like se ne accorgono ora. Bentrovati.

Negli anni la Leosini, "giornalista-giornalista" come il caposervizio di Fortàpasc, il film su Giancarlo Siani, definiva i cronisti di strada, ha potuto raccogliere testimonianze di decine d'assassini rei confessi oppure condannati ma ostinatamente convinti nel proclamare la loro innocenza. Le sue storie maledette su Raitre penso costino un decimo del peggior talk show e rendono sicuramente di più in termini di share anche se vanno in onda tra un Don Matteo e un Segreto, in una assurda competizione fra reti dello stesso network, la Rai.

Di che stiamo parlando, dunque? Non certo della validità del format. Ma dell'opportunità o meno di intervistare il mandante di una schifosa aggressione, attualmente recluso. Parliamo del caso di Pesaro, ovvero di Luca Varani, l'ex fidanzato dell'avvocato Lucia Annibali, condannato in Appello a vent'anni di carcere per averla fatta sfregiare con l'acido nel 2013.

Capisco chi dubita dell'opportunità di intervistare o meno i cattivi, gli assassini, i serial killer. Il male a volte ha carisma, anche se non tutti i delinquenti sono Hannibal Lecter. Capisco i dubbi ma fino a un certo punto. Non concepisco chi vorrebbe vietare certe interviste. Non tutte, alcune. Magari con l'elenco dei fatti da ammettere o meno all'onore delle telecamere. Pino Pelosi e il delitto di Pier Paolo Pasolini sì e Rudy Guede, riconosciuto (in concorso con altri, ignoti) protagonista dell'omicidio di Meredith Kercher a Perugia no? Fabio Savi, uno dei fratelli della Uno Bianca di Bologna sì e il caso Lucia Annibali no? Dov'è il discrimine, dove la differenza? Nella morte della vittima? Lucia doveva morire, dunque, per rendere ‘storico' e televisivamente accettabile il suo racconto? Comprendo ovviamente che la protagonista di siffatta violenza rifiuti di guardare in tv il suo aguzzino. Non capisco chi, dall'alto (o dal basso) di un ruolo politico e parlamentare discetta sull'opportunità di censurare o meno un programma di approfondimento televisivo, attribuendosi il ruolo di simil Pretore degli anni Cinquanta.

Franca Leosini si cala nelle vicende che sviscera con calma, senza la smania di una risposta ‘da titolo sui giornali'. Analizza tutti gli aspetti, anche quelli morbosi. E poi però non fa sconti. Fa testo il suo ‘copione' concepito come studio degli atti e delle verità processuali dalle quali non si prescinde mai e alle quali sempre si ritorna. Ma tutt'intorno c'è la vita . «Rubo l'anima per poi restituirla» usa dire la giornalista ed è assolutamente vero. Chi guarda i suoi programmi da decenni ne è consapevole. E chi fa ‘ammuina‘  sulle storie maledette  è semplicemente incapace di afferrare l'umanità che circonda il nostro vivere. Di cui fa parte perfino il male.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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