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Artur, il papà coraggioso e il suo drammatico viaggio in Siria per salvare le figlie dall’Isis

Grazie alla determinazione del padre, Maizarat e Fatima, due bambine del Daghestan, sono in salvo. La madre le aveva condotte con sé in Siria per vivere una nuova vita nel sedicente Stato islamico. Sono almeno 1.200 i foreign fighters provenienti da questa repubblica caucasica andati a lottare con l’Isis.
A cura di Mirko Bellis
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Maizarat (10 anni), la maggiore delle figlie di Artur (Foto Bbc)
Maizarat (10 anni), la maggiore delle figlie di Artur (Foto Bbc)

Per Artur Magomedov, un cittadino del Daghestan (uno degli Stati della Federazione Russa), il mondo crollò il giorno in cui il cognato e lo zio della moglie gli dissero che la donna era scappata di casa con le due figlie piccole. La destinazione della loro fuga non poteva essere peggiore: il sedicente Califfato islamico. Di nascosto, la moglie di Artur aveva preso con sé Maizarat, di dieci anni, e la sorellina Fatima di tre, per portarle prima in Turchia e da lì in Siria, verso quella che considerava la terra promessa. “Lo zio e il fratello sembravano contenti – ha affermato l’uomo in un’intervista alla Bbc – ma gli ho risposto: ‘questa storia finirà male’. Che diritto ha di portar via le mie figlie senza il mio permesso?”, racconta sconsolato.

Artur, però, non si rassegnò alla perdita delle bambine e decise di andare a salvarle dal regno di terrore dei jihadisti. Un viaggio disperato che avrebbe potuto significare la morte. Fu costretto ad indebitarsi per comprare il biglietto aereo fino a Istanbul.  Nella capitale turca ad attenderlo c’era una guida con il compito di condurlo fino in Siria. “Da Istanbul ci siamo diretti a Gaziantep nella Turchia meridionale. Abbiamo cambiato l’auto cinque volte prima di arrivare al confine. C’è un’autentica mafia che organizza il trasporto”, ricorda. Con le pallottole delle guardie di frontiera turche che gli fischiavano vicino, Artur, assieme ad una famiglia cecena e altre tre persone, riuscì a varcare il confine. “Per attraversare la frontiera devi correre 200 metri e correre velocemente, con tutti i tuoi bagagli prima che i soldati comincino a sparare. Ho corso così forte che il cuore mi scoppiava”.

La sua drammatica avventura era appena iniziata. “Quando sono arrivato nella zona controllata dall'Isis, alcuni miliziani armati ci stavano aspettando e ci hanno portati a Jarablus (nel governatorato di Aleppo, ndr)”. Artur non sapeva dove si trovasse la moglie. Ma ad un tratto, la fortuna sembrò arrivare in suo aiuto. Il cognato gli inviò un messaggio di testo rivelando la città in cui viveva la donna con le bambine: erano a Tabqa, cittadina nel centro-nord della Siria. Un altro tassello si era aggiunto nella liberazione delle bambine, ma rimaneva la parte forse più difficile: recarsi dalla moglie e riportare a casa Maizarat e Fatima.

Erano così contente quando mi hanno visto. Maizarat aveva addosso un hijab nero, mentre la piccola era ancora vestita con gli abiti che aveva quando è partita dal Daghestan. Mia moglie non c’era però quando ha saputo che ero lì è arrivata di corsa e ha capito di essere nei guai”.

La custodia delle figlie venne decisa da un tribunale islamico e il verdetto lasciò l’amaro in bocca ad Artur. Poteva tenere con sé le bambine ad una condizione: non doveva abbandonare il Califfato. Il padre disperato, però, attendeva solo la possibilità di scappare. E una notte decise di fuggire verso la Turchia. Quello che segue è il suo racconto di quei terribili momenti: "Camminavamo carponi lungo una linea ferroviaria a 70 metri dal confine. Ho preso la più giovane tra le mie braccia e ha detto all'altra: ‘Corri’!. Mentre correvamo mi sono strappato i pantaloni con un filo spinato e anche Fatima si è rotta il vestito. Maizarat ha cominciato a piangere. Sono caduto tre volte, non so dove ho trovato la forza per andare avanti. Le guardie di frontiera turche erano a soli 50 metri di distanza e hanno iniziato a spararci addosso, ci siamo gettati in un fosso di irrigazione e ci siamo nascosti per 20 minuti. Siamo strisciati lungo l’erba alta e quando ho capito che ce l’avevamo fatta, mi sembrava di essere in paradiso”. Una volta raggiunta Istanbul, il consolato russo in Turchia ha provveduto a far ritornare a casa Artur e le bambine.

Il documento delle due bambine rilasciato dal consolato russo in Turchia (Foto Bbc)
Il documento delle due bambine rilasciato dal consolato russo in Turchia (Foto Bbc)

Nonostante gli sforzi delle autorità del Daghestan per impedire ai suoi cittadini di partire per la Siria o l’Iraq, sono oltre 1.200 i foreign fighter andati a combattere nelle fila dell’Isis. E proprio in questa repubblica caucasica della Federazione Russa, dove l’82% della popolazione è di fede musulmana, il messaggio radicale dei jihadisti ha fatto più presa.

Cartellone contro il terrorismo in Daghestan (Foto Bbc)
Cartellone contro il terrorismo in Daghestan (Foto Bbc)

Il destino della moglie di Artur è sconosciuto. “Nessuno sa dove sia in questo momento. Non l’ho più sentita, ha fatto la sua scelta e deve sopportarne le conseguenze”, ha dichiarato l’uomo. Grazie al coraggio del padre, Maizart e Fatima sono in salvo, ma le conseguenze della loro esperienza continuano a farsi sentire. “Questa primavera la più grande mi ha chiesto: ‘Come mai tutti hanno una mamma ed io no?‘. So che le ragazze a volte la sentono ma non ho intenzione di proibirglielo. Dopo tutto è la loro madre e la perdono”, ha concluso Artur.

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