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Il coniuge preleva per sé dal conto cointestato nonostante il matrimonio sia in crisi? Deve restituirli

In caso di separazione di fatto, i coniugi non possono disporre liberamente delle somme versate nel conto familiare cointestato ed effettuare prelievi personali da utilizzare per acquistare beni e servizi per sé. A sancire il principio una recente sentenza del Tribunale di Roma.
A cura di Charlotte Matteini
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In caso di crisi famigliari e matrimoniali, il coniuge non può effettuare prelievi per sé dal conto corrente cointestato. È quanto sostiene una recente sentenza, la numero 11451/2017, emessa dal Tribunale di Roma. I giudici della prima sezione civile hanno infatti condannato una donna a risarcire il marito, unico percettore di reddito all'interno del nucleo familiare, per aver prelevato ingenti somme per sé per acquistare automobili, iscrizioni a circoli sportivi e assicurazioni auto, per un totale di 102.000 euro, quando al momento dei prelievi erano già separati di fatto. Il caso è stato analizzato dal portale specializzato Studio Cataldi, che nel diffondere la sentenza del Tribunale di Roma, spiega: "Nel sancire la condanna della donna alla restituzione delle somme, il Tribunale di Roma non ha omesso di considerare che l'articolo 1911 del codice civile esclude dall'obbligo restitutorio in favore della comunione legale le somme che il coniuge preleva dal patrimonio comune solo se le stesse vengono impiegate per adempiere le obbligazioni previste dall'articolo 186 del codice civile (ovverosia quelle contratte per il mantenimento della famiglia o comunque nel suo interesse o per l'istruzione e l'educazione dei figli). Nel caso di specie, invece, mancava del tutto la prova che le somme prelevate dalla donna erano state reimpiegate per necessità familiari, ma anzi in corso di causa era emerso che le stesse erano state utilizzate per fini del tutto diversi".

Sostanzialmente, dunque, la donna, per cercare di salvarsi dalla condanna, senza alcuna prova, avrebbe tentato di giustificare spese e prelievi adducendo allo "spirito di liberalità" e sostenendo che il marito avrebbe messo a disposizione quelle somme. "Per i giudici, tuttavia, occorre ricordare che la cointestazione con firma e disponibilità disgiunte di una somma di denaro appartenente a uno solo dei cointestatari (come nel caso di specie) è donazione diretta solo se viene riscontrata l'effettiva esistenza dell'animus donandi. Peraltro ciò vale solo per il denaro versato prima della cointestazione, mentre per le somme versate dopo la donazione indiretta è preclusa dal divieto di donazione di beni futuri. Oltretutto, la mera esistenza del vincolo coniugale non permette di ritenere che la cointestazione dei conti persegua il solo scopo di liberalità. Spesso, infatti, essa trova fondamento in esigenze di carattere pratico e di migliore gestione del ménage familiare". 

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