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Il capitalismo familiare italiano passa alla cassa

Silvio Berlusconi ha ridotto la presa su Mediaset e già tenta di “diversificare” nell’editoria su carta e nelle torri di trasmissione del digitale terrestre. Ma alla cassa presto potrebbero passare altre “grandi famiglie” del capitalismo italiano…
A cura di Luca Spoldi
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Sarà un caso, ma non appena la famiglia Berlusconi attraverso la holding Fininvest ha fatto cassa cedendo una quota di Mediaset sul mercato (il 7,88% del capitale, ovvero 91 milioni di azioni, collocati la scorsa settimana a 4,10 euro l’uno per circa 370 milioni di euro di incasso) sono iniziate a sbocciare offerte per altri business come i libri di Rcs Libri (da parte di Arnoldo Mondadori Editore, che Silvio Berlusconi controlla attraverso Fininvest al 53%) e le torri di Rai Way (da parte di Ei Towers, che l’ex presidente del consiglio controlla al 40% tramite Elettronica Industriale). Operazioni che hanno una precisa valenza industriale, certamente, e infatti piacciono al mercato, ma che subito hanno suscitato perplessità di non poco conto per il peso “politico” che sembrano avere.

Mi permetto di dissentire tanto sull’uno quanto sull’altro aspetto. E’ vero che sia Mondadori sia Ei Towers avrebbero di che avvantaggiarsi dal riuscire a “salire di taglia” (in termini sia di fatturato sia di utili) inglobando le attività dei rispettivi concorrenti italiani, ma da un lato il rischio di una pronuncia contraria dell’Antitrust domestico va di pari passo con la modesta rilevanza che entrambe le operazioni avrebbero in ambito europeo, dall'altro ridurre la presa sul “core business” (della televisione generalista) per diversificare in ambiti altrettanto legati al passato come l’editoria cartacea e le torri di trasmissione dei segnali digitali terrestri, sembra denotare una incapacità del gruppo Berlusconi, ma anche di tutti i suoi alleati e antagonisti sia sul piano finanziario sia politico, di pensare al futuro.

Diciamola tutta: il “digital divide” che ormai separa l’Italia dal resto del mondo sviluppato è imbarazzante ed è dovuto alla presenza di oligopoli fortemente concentrati sul mercato domestico che hanno ostacolato la nascita di nuovi operatori e lo sviluppo di modelli culturali e di business nuovi. L’offerta privata come pure quella pubblica, nell’ambito dei “vecchi” media, è legata al passato, alla possibilità di influenzare il flusso di informazioni da un broadcaster ad un vasto pubblico passivo, cerca di mantenere una centralità dei canali (carta stampata e televisione) che altri mezzi e canali (i social media e il web) hanno da anni messo in crisi nel resto del mondo.

Che nel 2015 Silvio Berlusconi provi a riacquistare visibilità economica e potere “politico” promettendo/minacciando di rilevare simili attività (sempre che abbia poi la possibilità di farlo visto che RcsLibri costerebbe almeno 120 milioni di euro, il 100% di Rai Way dieci volte tanto) dimostra come la classe “digerente” di questo paese abbia bisogno di lasciar spazio a una nuova generazione di manager, imprenditori e politici. Non è detto che non accada, magari in tempi più rapidi di quanto non si creda: sarà un caso, ma mentre Berlusconi è passato alla cassa e ora prova a utilizzarla per diversificare il suo business, anche altri nomi storici del capitalismo familiare italiano si preparano a vendere.

I Benetton hanno ammesso che sono molte le manifestazioni d’interesse per World Duty Free, anche se hanno poi precisato che al momento non ci sono offerta formali. Gli Agnelli sarebbero tentati dal cedere, attraverso la holding Exor, la partecipazione (81%) nell’immobiliare Cushman&Wakefield, che il Wall Street Journal valuta attorno ai 2 miliardi di dollari. I Moratti hanno già ceduto, oltre all’Inter, una partecipazione di poco inferiore al 21% di Saras (il 13,7% direttamente per poco più di 178 milioni, il restante 7,1% rilevato sul mercato per altri 95 milioni) ai russi di Rosfnet, lo stesso Silvio Berlusconi potrebbe fare ancora cassa cedendo una quota, o l’intera partecipazione, del Milan a qualche società estera (si parla con insistenza di interessi dalla Cina).

E’ solo un caso che le “grandi famiglie” del capitalismo tricolore si stiano muovendo quasi all’unisono e quasi sempre solo per monetizzare, prima e più che per investire? Mi pare piusttosto l’ennesima conferma di quanto detto pocanzi: che la classe “digerente” di quello che un tempo era un “bel paese” non ha la più pallida idea di quali opportunità riservi il futuro e di come fare a coglierle e si muove di conseguenza.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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