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I sardi i primi a coltivare il melone nel Mediterraneo: trovati semi del 1300 a.C.

Trovati nei pozzi del sito nuragico di Sa Osa, a Cabras, nell’oristanese, semi del frutto riferibili all’età del Bronzo. Ma ora c’è da da ricostruire la storia di tutti gli altri alimenti conservati nei “paleofrighi” naturali. In campo ci sono equipe di scienziati provenienti da mezza Europa.
A cura di Biagio Chiariello
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Bevevano vino, raccoglievano noci e fichi e coltivavano la vite e il melone. La loro oggi sarebbe definita una dieta mediterranea, ma i nuragici l’avevano inventata più di tremila anni fa.  I loro cibi, inclusa la carne e il pesce, i “protosardi” li custodivano all’interno di “paleofrighi” naturali: profondi pozzetti scavati nella roccia. E’ una importante scoperta quella fatta dal gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell'università di Cagliari: semi di melone, riferibili all'età del Bronzo (tra il 1310-1120 a.C.) sono stati trovati nel pozzo N di Sa Osa (Cabras) e sarebbero la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. "Prima d'oggi – ha spiegato a Repubblica il professor Gianluigi Bacchetta, direttore del gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell'Università di Cagliari,  – la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee dell'instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (Comav) dell'Università Politecnica di Valencia".

Ora uno studio sui pozzi-frigo per conservare gli alimenti

Gli studi sulla dieta mediterranea dei protosardi non sono finiti. Un’ulteriore approfondita analisi meritano indubbiamente le “celle frigo” di pietra per conservare gli alimenti. “L’eccezionalità di questa ricerca – sottolinea il professor Bacchetta – è anche lo stato di conservazione di questi prodotti: praticamente perfetti, grazie all’assenza di ossigeno e alla forte umidità”. . Il lavoro di ricerca ha permesso di identificare migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. “Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime”, conclude Bacchetta.

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