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I ricchi del mondo siedono su una montagna di soldi liquidi

I ricchi del mondo dispongono mediamente di un patrimonio immobiliare pari a 160 milioni di dollari e di una liquidità pari a 600 milioni tuttora in cerca di un investimento. La corsa degli ultimi anni di borse e bond rende tutti molto prudenti.
A cura di Luca Spoldi
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I multimilionari di tutto il mondo stanno seduti su una montagna di denaro, che mantengono sostanzialmente liquido. Quanto? Circa 600 milioni di dollari ciascuno in base ai dati dell’ultimo Censimento dei miliardari mondiali elaborato da Wealth-X e Ubs. Una cifra ragguardevole, in euro sono circa 465 milioni, che per chi guadagna mediamente mille euro al mese netti/duemila euro lordi, equivale a circa 1.600 anni di stipendio, anno più anno meno. Tra le altre cose 600 milioni di dollari sono una cifra maggiore di quella dell’intero Prodotto interno lordo (dati 2013 della Banca Mondiale) di paesi come la Repubblica Dominicana (il cui Pil lo scorso anno è ammontato a meno di 505 milioni di dollari), Tonga (466 milioni), Micronesia (335 milioni), Sao Tomé e Príncipe (310 milioni), Palau (247 milioni), Isole Marshall (175 milioni), Kiribati (169 milioni) o Tuvalu (poco più di 38 milioni di dollari in tutto).

I multimilionari mondiali hanno visto lo scorso anno la propria liquidità salire in media di 60 milioni di dollari (+11% circa), il che significa solo due cose: o che l’hanno investita molto bene, ma è virtualmente impossibile mantenere liquido un capitale così elevato e riuscire a vederlo crescere dell’11% in un anno a fronte di tassi che ovunque, per investimenti di breve termine, rasentano lo zero; oppure, ed è probabilmente quanto è accaduto, che hanno incrementato la percentuale del proprio patrimonio mantenuta liquida, attendendo un momento migliore per effettuare nuovi investimenti a lungo termine.

Il che si può comprendere bene, visto che molte grandi borse mondiali hanno segnato nuovi record storici, come nel caso di Wall Street, così come molti titoli a reddito fisso hanno ben performato grazie agli incessanti sforzi delle banche centrali occidentali per mantenere basso il costo del denaro e favorire un rafforzamento della ripresa che, per la verità, si nota solo in parte negli Stati Uniti mentre ancora deve vedersi in Giappone e in Europa (dove anzi ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, ha ammesso che la crescita resta più incerta e diseguale di quanto sperato). Quello che colpisce è che mentre le persone comuni fanno fatica ad arrivare a fine mese con qualche centinaia di euro in tasca, ma in molti casi (circa l’80% delle famiglie nel caso italiano) posseggono uno o più immobili di proprietà, i ricchi mondiali sembrano amare molto più il contante del mattone.

Il loro patrimonio immobiliare ammonta infatti, sempre in media, a 160 milioni di dollari a testa, circa un quinto della loro ricchezza liquida. Così mentre la “gente della strada” si arrabatta per arrivare a fine mese e magari concedersi ogni tanto qualche spesa extra (una visita medica, un regalo di Natale, una vacanza all’anno, un’automobile con cui sostituire il vecchio “scassone” di famiglia che non ne può più da anni) con quello che il fisco gli lascia in tasca, i ricchi si chiedono sempre più insistentemente dove investire questa montagna di denaro che, come detto, sui conti correnti e strumenti monetari sui quali viene attualmente parcheggiata frutta poco o nulla.

Se in Italia e in alcuni paesi del Sud Europa anche i tassi a breve termine in termini reali restano positivi e, a fronte di un’inflazione che resta modestissima nonostante tutti gli sforzi della Bce di rianimare un poco i prezzi, riescono per ora a proteggere il valore del capitale, negli Usa e in Asia le cose stanno in modo molto differente. Lì l'inflazione rende i tassi a breve negativi in termini reali e per contro la crescita economica, che in Italia è assente da almeno 15 anni (periodo in cui l’economia è cresciuta di uno striminzito 0,3% medio annuo, ossia non è cresciuta affatto) è ancora presente, specialmente nel caso dei mercati emergenti, e per quanto mostri periodicamente qualche segnale di incertezza alternativa per chi voglia investire il proprio denaro non mancano.

Per questo il consiglio quasi unanime di analisti e banchieri d’affari (peraltro in molti casi con più di un lieve “conflitto d’interesse”, ma che volete farci) è: investite. In cosa? In strumenti derivati come swap sui tassi d’interesse o sulle valute, visto che il quadro generale è che negli Usa i tassi saliranno dal prossimo anno e il dollaro si rafforzerà ulteriormente, oltre al 6% che ha già messo a segno da inizio giugno ad oggi contro euro. Se potessi incontrare alcuni degli ultraricchi del mondo come mi è capitato di fare anni fa quando ero un gestore attivo e lavoravo per alcuni importanti intermediari finanziario operanti in Italia, mi spingerei un po’ più in là e consiglierei di investire o in borsa o direttamente in attività “reali” di paesi che potrebbero ripartire.

Quali? La Spagna, per esempio. O il Portogallo. O la Francia, se farà qualche riforma in grado di sburocratizzare il paese. E l'talia? Occorre essere molto coraggiosi per investire (o suggerire di investire) in Italia al momento. Servono riforme strutturali, ma serve soprattutto che la domanda interna torni a crescere. Il resto, dall’uscita dall’euro (che pure pare ad alcuni l’unica alternativa) all’abolizione dell’articolo 18 (che in realtà ormai riguarda poco più del 16% dei lavoratori italiani, dunque una assoluta minoranza per quanto molto agguerrita, anche legittimamente, e sovra rappresentata da sindacati e media), servirà a poco se la domanda interna non si riprenderà. Ma per farla ripartire occorrerebbero nuovi investimenti privati, sia dall’Italia sia dall’estero, appunto.

Ma gli investimenti arriveranno solo quando la tassazione del risparmio (e più in generale di reddito e patrimonio prodotto o detenuto in Italia) sarà tornata a livelli più “umani”, se non proprio “concorrenziali” con quelli di altri paesi. Ma questo non succederà se si continuerà ad utilizzare unicamente una strategia ragionieristica senza darsi alcuna visione strategica del nostro futuro, né a livello aziendale/settoriale né a livello nazionale. Tre ma molto pesanti che mi porterebbero a consigliare di seguire con attenzione gli sviluppi della situazione italiana, ma per il momento di non investire, non ancora, o solo in misura molto modesta. Nonostante gli accorati appelli del mondo politico che come sempre è bravissimo a incitare gli altri ad armarsi e partire, molto meno efficiente nel varare misure in grado di consentire a chi vuole di armarsi, ovvero investire con una qualche speranza che i soldi investiti negli anni tornino indietro moltiplicati e non diminuiti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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