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Opinioni

I giorni della grande isteria collettiva sui migranti

La cronaca di quanto successo nelle ultime settimane è quella di un dibattito impazzito, che ha portato all’isteria un intero paese e ha letteralmente capovolto la realtà. Colpevolizzando ed emarginando chi salva vite umane e premiando chi le rinchiude in lager o le respinge nel deserto. Esaltando politici e magistrati che hanno avvelenato il clima lanciando accuse senza uno straccio di prova e appiattendo destra, sinistra e centro sulle stesse posizioni. Sono giorni che non dimenticheremo e che peseranno sulla coscienza collettiva di un intero paese.
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È piuttosto difficile provare a raccontare cosa sta succedendo sul fronte di quella che ormai è comunemente definita come “l’emergenza immigrazione”. In effetti, siamo in presenza di una vera e propria isteria collettiva: un insieme di fatti, dichiarazioni, opinioni, bufale, mistificazioni, strumentalizzazioni, ipotesi, teoremi, in un groviglio praticamente inestricabile. È un caso incredibile, probabilmente mai accaduto prima nella storia, in cui ogni elemento contribuisce a determinare una rappresentazione della realtà che sembra avere ormai vita propria e in cui ogni cosa risulta capovolta, distorta, priva del suo reale significato.

Da dove cominciare, dunque? Forse dalla fine, o meglio, dall’ultimo atto di questa rappresentazione, che ha sempre i contorni della farsa e della tragedia.

Nel corso della tradizionale conferenza stampa di Ferragosto, il ministero dell’Interno ha diffuso i dati relativi alla questione “immigrazione”, con un confronto con il 2016 che rende bene l’idea di quanta distanza vi sia fra i fatti e l’enfasi politico – giornalistica. Al 31 luglio 2017 i migranti sbarcati sulle nostre coste sono 95.213, con un incremento addirittura (!) dell’1,5% rispetto al 2016 (nel mese di luglio gli sbarchi risultano in calo del 50%, nei primi 15 giorni di agosto calano dell’86%). Il grafico relativo al mese di luglio è particolarmente significativo:

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La variazione maggiore nel confronto con lo scorso anno è quella relativa alle richieste di asilo, che sono state oltre 86mila, con una variazione del 46% rispetto al 2016. Nell’ultimo anno sono state esaminate 46.224 domande e per 19.925 persone è stata disposta una qualche forma di protezione (il 43% del totale), legata a motivi politici o umanitari. Tanto per smontare la bufala de "non scappano da guerre o fame", insomma.

Il Viminale ha poi diffuso anche i dati sulla distribuzione territoriale dei richiedenti asilo, evidenziando come la presenza dei migranti sul territorio sia molto disomogenea e come il peso dell'accoglienza ricada essenzialmente su poche Regioni. È un punto centrale, poco evidenziato dal racconto "emergenziale" di questi giorni. Qualche settimana prima, infatti,  avevano destato scalpore le dichiarazioni di Antonio Decaro, Sindaco di Bari e Presidente dell'ANCI, l'associazione nazionale comuni italiani. Per Decaro le maggiori responsabilità sono dei prefetti che creano confusione, spedendo ad esempio 1500 migranti in una frazione di 200 abitanti, ma anche di quei Sindaci che non accolgono. Si tocca il punto cruciale della questione, dopo che per anni la politica ha essenzialmente parlato di altro: il problema potrebbe assumere (in parte ha già assunto) dimensioni enormi proprio perché c’è chi da anni si sottrae ai propri impegni, scaricando le proprie responsabilità per calcoli di bottega. Del resto, quasi il 70% dei Comuni italiani non ospita migranti ed è completamente disapplicato l’accordo proprio tra Anci e ministero dell’Interno che prevede 2,5 migranti per ogni abitante come “regola aurea” per la distribuzione sul territorio italiano delle persone che sbarcano sulle nostre coste. Semplificando, il concetto è sempre lo stesso: non ci sarebbe nessuna emergenza, nessun caso limite, nessuna “invasione percepita” se ogni comune facesse la propria parte e rinunciasse a egoismi e a quelle che Mario Morcone, già a capo del Dipartimento Immigrazione, definiva come “piccole perfidie”.

Aiutiamoli a casa loro (occhio non vede…)

Pochi giorni prima, il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi aveva spiazzato un po' tutti, mettendo nero su bianco sul suo nuovo libro, Avanti – Perché l'Italia non si ferma, l'adesione del partito a un concetto molto caro alla destra populista: aiutiamoli a casa loro. Forzature social a parte, Renzi sostiene che il nostro Paese non ha "il dovere morale di accogliere tutti", ma solo quello di salvare tutti, aggiungendo che l'unica possibilità di governare un fenomeno che rischia di spazzare via tutto è quello di "un numero chiuso per i migranti" e gli aiuti nei loro paesi di provenienza. Mentre Salvini e Meloni sghignazzano, Berlusconi si autoproclama "modello da seguire" per la gestione degli sbarchi (e certo, chissene del destino di migliaia di persone nei lager della Libia), il M5s canta vittoria e a sinistra si resta tra lo sbalordito e l'incazzato. Renzi invita a non semplificare e parla di un approccio organico alla questione, negando di essersi spostato a destra. In pochi provano a mettere i puntini sulle i: perché, oltre a non essere di sinistra, "l'aiutiamoli a casa loro" come mezzo per fermare le migrazioni è teoria già ampiamente superata e in larga parte sconfessata.

Il punto lo fa Maurizio Ambrosini su LaVoce, partendo da una constatazione piuttosto banale: gli immigrati che arrivano in Italia non sono “i più poveri del loro paese”, dal momento che per emigrare occorre disporre di risorse. Ma c’è di più:

Gli studi sull’argomento mostrano che, in una prima fase, lo sviluppo fa aumentare la propensione a emigrare, perché cresce il numero delle persone che dispongono delle risorse per partire. Le aspirazioni a un maggior benessere aumentano prima e più rapidamente delle opportunità locali di realizzarle. Solo in un secondo tempo le migrazioni rallentano, finché a un certo punto il fenomeno s’inverte.

Senza contare che, come già sottolineato dalla Banca Mondiale, un ruolo fondamentale nei paesi in via di sviluppo lo giocano le rimesse che gli immigrati mandano ai loro familiari rimasti a casa. In sintesi:

Le politiche di sviluppo dei paesi svantaggiati sono giuste e auspicabili, la cooperazione internazionale è un’attività encomiabile, produttrice di legami, scambi culturali e posti di lavoro su entrambi i versanti del rapporto tra paesi donatori e paesi beneficiari, ma subordinare tutto questo al controllo delle migrazioni è una strategia di dubbia efficacia, certamente improduttiva nel breve periodo, oltre che eticamente discutibile. Di fatto, gli aiuti in cambio del contrasto delle partenze significano finanziare i governi affinché usino le maniere forti per impedire l’emigrazione dei loro giovani cittadini alla ricerca di un futuro migliore, oppure fermino il transito di migranti e persone in cerca di asilo provenienti da altri paesi: l’UE ha recentemente premiato il Niger per questo discutibile motivo.

Scendere nel merito delle questioni appare richiesta folle, considerato il livello del dibattito politico intorno al tema dell'immigrazione. L'esempio più eclatante riguarda la crociata contro le ONG, cui il ministro Minniti si è accodato con entusiasmo fino a prenderne praticamente le redini. È un caso incredibile, che sfiora l'assurdo e precipita nel surreale. Ma, anche in questo caso, andiamo con ordine.

I taxi per i migranti e la politica che approva relazioni a casaccio (letteralmente)

Tutto nasce dalla pubblicazione da parte del Financial Times di uno stralcio di un rapporto riservato di Frontex risalente al novembre del 2016. Nel documento, sulle cui modalità di diffusione lo stesso giornale Usa farà un passo indietro, si parlava di gruppi di migranti che prima della partenza dal territorio libico venivano istruiti in modo da essere recuperati dalle ONG operanti oltre le 12 miglia dalle coste.

Qualche mese dopo, Frontex pubblica il  documento Annual Risk Analysis 2017, che per molti costituirà la “pistola fumante” del ruolo criminale delle ONG. Il rapporto verrà infatti citato ampiamente da Di Maio, Salvini e dal procuratore Zuccaro: come vi abbiamo spiegato qui, l’ipotesi che nessuno di loro lo avesse letto è decisamente fondata.

Già, Zuccaro. Perché a un certo punto entra in scena il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e dà il via a una “caciara” senza precedenti. Senza avere alcuna prova concreta, per sua stessa ammissione, Zuccaro parla di ONG come taxi per i migranti, finanziate dai trafficanti con la finalità di destabilizzare l'economia italiana per trarne dei vantaggi.

La politica lo prende sul serio, probabilmente anche troppo, e al Senato vengono disposte audizioni nel solco di una indagine conoscitiva “sul contributo dei militari italiani al controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo e sull'impatto della attività delle organizzazioni non governative”. La mole di lavoro e di documenti prodotta dalle audizioni in Commissione Difesa è elevata e utilissima a chiarire finalmente i veri contorni della questione.

Nella sua audizione, ad esempio, il procuratore di Catania conferma di non avere prove, di non aver mai ricevuto alcun dossier dai servizi segreti, ma continua a confondere atti d’inchiesta, indagini, ipotesi di reato, lavoro degli uffici con le proprie opinioni personali, le proprie deduzioni, la propria visione dei rapporti sociali e del sistema dell’accoglienza. Le fonti usate? “Queste cose ci risultano anche da Internet, perché su Internet vengono messi in Rete i dati sulla posizione in cui si trovano le ONG e chiunque vi possa attingere lo fa”. Il timore (o il terrore, fate voi) è che tutto ’sto casino nasca anche dalla visione di un video, pieno di errori, forzature e inesattezze, divenuto virale in particolar modo sui social network.

La ricetta di Zuccaro (no, sul serio)

Zuccaro, che sarà smentito in alcuni punti essenziali del suo teorema dal procuratore di Siracusa, dal comandante delle Capitanerie di porto, l’Ammiraglio Vincenzo Melone, e dall’ammiraglio Enrico Credendino, capo di EunavforMed – Operazione Sophia (non esattamente dei no global – no borders di formazione internazionalista), fa però delle proposte, alcune delle quali saranno immediatamente cavalcate dalla destra e dal MoVimento 5 Stelle. Tra le proposte, alcune delle quali piuttosto originali, segnaliamo le richieste di:

  • stabilire che le navi in uso alle ONG “non battano la bandiera dello Stato in cui lo scafo è stato acquistato, ma quello dello Stato in cui hanno la sede”, perché “le molte navi delle ONG battono bandiere di Stati con le quali la collaborazione giudiziaria è difficoltosa”;
  • mettere in campo una sorta di pronto intervento in mare, dando compiti di polizia giudiziaria a Marina e Guardia Costiera a prescindere dalle attività di search and rescue (o dagli interventi di emergenza, durante i quali già adesso MM e GC hanno compiti di PG), in modo da poter rendere possibile l’uso di intercettazioni telefoniche e telematiche;
  • far seguire da aerei militari quelle navi delle ONG che abbiano spento i transponder, per verificare se esse stiano varcando le acque libiche, violando le norme.

Sul punto ritorneremo, prima però arrivano le conclusioni, surreali, della stessa indagine conoscitiva, che vi raccontavamo qui:

Semplifichiamo, tanto per provare a essere chiari: da una parte c’è il teorema – Zuccaro, in parte rinnegato dallo stesso procuratore di Catania, dall’altra decine di audizioni dei responsabili di tutti i soggetti attualmente operanti al largo della Libia. La Commissione ha incredibilmente trovato un equilibrio, con un documento finale che, nella sostanza, recepisce l’intero impianto del teorema Zuccaro e, in un contesto di evidente scetticismo circa l’operato delle ONG, produce proposte la cui applicabilità è stata sostanzialmente già messa in discussione dalle stesse autorità audite.

La tesi di Zuccaro, più e più volte smentita, diventa la ratio dell'azione e delle richieste non solo dell'opposizione parlamentare e della destra anti-immigrazione, ma della stessa Commissione e, successivamente, addirittura dello stesso Governo, con Minniti che decide di intestarsi l'intera campagna di criminalizzazione delle ONG.

I primi a rispondere all’appello del procuratore di Catania sono, manco a dirlo, i parlamentari del MoVimento 5 Stelle. Che il 5 maggio presentano una proposta, a firma Alfonso Bonafede, che sposa in pieno le tesi del procuratore di Catania e che, pur intervenendo su una materia di enorme complessità, viene presentata in modo piuttosto semplice. In sintesi:

  • compiti di polizia giudiziaria agli ufficiali della Guardia Costiera e ai comandanti delle navi militari, ovvero “polizia giudiziaria a bordo delle ONG”;
  • divieto di spegnimento dei transponder per le imbarcazioni delle ONG, con la previsione di pene severe per eventuali contatti con i trafficanti.

Come da copione, anche in questo caso la questione diventa un muro contro muro fra tifoserie. In pochi si prendono la briga di scendere nel merito e di contestare la legittimità delle proposte del M5s (per esempio dicendo che Guardia Costiera e Marina hanno già compiti di polizia giudiziaria, oppure che un trasponder si può spegnere per mille motivi, o ancora che non ha alcun appiglio legale l’azione su navi che operano in acque internazionali e non battono bandiera italiana). Così, in pochi si meraviglieranno quando, mesi dopo, Minniti proporrà essenzialmente le stesse cose nel suo “codice di condotta per le ONG”.

Fermiamoci un attimo, perché questo è un passaggio essenziale. Un procuratore fa una denuncia pubblica, senza avere né prove, né riscontri, né dossier di alcun tipo. Esperti e operatori del settore lo sbugiardano. Nasce una campagna mediatica contro le ONG, fondata essenzialmente sul nulla. La politica risponde non ai fatti o alle evidenze fornite da operatori, Marina, Guardia Costiera, ma alla campagna mediatica. Le ONG diventano il capro espiatorio perfetto di una questione che non si riesce a gestire. Il Governo elabora un codice punitivo nei confronti delle ONG. Alcune ONG si rifiutano di firmarlo, perché inutile, inapplicabile e incompatibile con i loro principi (qui abbiamo cercato di riassumere le criticità del codice). Il cerchio si chiude, il paradosso è completo: chi salva vite in mare rischia di diventare fuorilegge.

L'inchiesta della procura di Trapani, la tempesta perfetta sulle ONG

Poi arriva l'inchiesta della Procura di Trapani, che è la bomba che fa definitivamente esplodere l'isteria collettiva sull'emergenza immigrazione.

È il 2 agosto quando la nave Iuventa della ONG tedesca Jugend Rettet (“la gioventù salva”) viene messa sotto sequestro ordine del gip di Trapani. La decisione è presa sulla scorta dell’indagine della procura di Trapani, con l’ipotesi favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico di alcuni elementi dell’equipaggio della ONG tedesca. La ricostruzione del procuratore Cartosio è suffragata da video e foto, che mostrano alcuni interventi “sospetti” effettuati dalla Iuventa e sarebbero stati girati da un agente sotto copertura infiltrato sulla nave “Vos Hestia”, di Save The Children, altra ONG impegnata nella search and rescue dei migranti (che, pare, avrebbe sollevato i primi dubbi sull’operato dei volontari tedeschi). Nelle immagini, che immediatamente diventano la “pistola fumante” dell’attività criminale di TUTTE LE ONG, della connivenza dei buonisti e del martirio di Zuccaro, Salvini, Di Maio e compagnia, si vedono alcuni membri dell’equipaggio della Iuventa compiere operazioni “molto discutibili”, tra cui la restituzione dei gommoni ai trafficanti, una sorta di “presa in consegna” di un gruppo di migranti e un atteggiamento “collaborativo” con gli scafisti (il tutto nella sostanziale indifferenza della Guardia Costiera libica). Ci sono poi alcune intercettazioni, nelle quali i volontari della ONG affermano di non essere tenuti a collaborare con le autorità italiane e tranquillizzano gli interlocutori sul fatto che non ci saranno né foto né segnalazioni. La Procura di Trapani fa riferimento a 3 episodi specifici, ma ritiene di poter affermare che questa modalità sia “abituale” e Cartosio lascia aperta la porta ad ipotesi investigative che coinvolgono altre ONG, che potrebbero aver aiutato la Iuventa (una nave piccola) nel trasbordo dei migranti.

Ma qual è l'accusa, in pratica? Già, perché il dubbio è che in questo gigantesco frullatore di informazioni si sia perso di vista il punto essenziale. Parliamo prima di tutto del piano legale, che è (dovrebbe essere, almeno) ben diverso da quello politico – ideologico. L'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina si fonda sostanzialmente sull'ipotesi di interventi in mare effettuati non "per salvare dei soggetti in pericolo di vita", ma alla stregua di strumenti dei trafficanti di uomini libici. Non c’è però una vera e propria associazione a delinquere, secondo la Procura, perché le finalità dei trafficanti sono ritenute “ben diverse rispetto a quelle dell’equipaggio Iuventa”, che non opera per ragioni di tipo economico, ma solo a scopo umanitario. E, infine, perché non risulta, allo stato, alcun rapporto organico con membri di organizzazioni criminali libiche, o meglio, per dirla con le parole di Cartosio, “un collegamento stabile tra la ONG e i trafficanti libici è pura fantascienza”.

La linea della procura di Trapani, come riportato da Andrea Zitelli su ValigiaBlu, era peraltro stata anticipata dallo stesso Cartosio: “È chiaro che se per ‘stato di necessità’ si intende semplicemente la situazione di chi sta annegando perché il gommone è affondato è un conto, se invece si intende anche la situazione di chi si trova in un campo di concentramento libico in cui ci sono dei trafficanti che tengono sotto la minaccia delle armi un certo numero di persone che vengono torturate, violentate, minacciate, chiaramente lo “stato di necessità” copre anche l’intervento programmato delle organizzazione non governative”. Essenzialmente stiamo parlando di questo: della liceità del comportamento di alcuni membri di una ONG relativamente al concetto di “stato di necessità”, alla base della possibilità di operare interventi in mare aperto.

Zuccaro, lo ripetiamo, ha detto altro, ipotizzando addirittura un piano per destabilizzare l'economia italiana.

Minniti, l'uomo forte a casa nostra (mentre all'estero…)

Torniamo per un momento a Tallinn, al vertice "decisivo", cui l'Italia arriva dopo settimane di "preparazione mediatica", con Minniti pronto a fare la voce grossa, perché "la gente è esasperata", "non ce la fa più" e il paese rischia di collassare. La nostra richiesta, in soldoni, è quella di aprire i porti europei ai migranti, avviando una revisione sostanziosa del trattato che noi stessi avevamo ispirato e firmato (come la sola Emma Bonino ha avuto la decenza di ammettere e rivendicare, giustamente, tra l'altro).

Ancora una volta i nostri rappresentanti tornano con un pugno di mosche, o quasi. Perché è vero che la Ue ribadisce la necessità di procedere alla relocation e avalla l’attivismo italiano in Libia (a sostegno di Sarraj), ma allo stesso tempo ci bacchetta nuovamente per ciò che non stiamo facendo e per gli impegni che non avremmo rispettato. Stando all’action plan infatti, l’Italia deve procedere velocemente:

  • aumentando la capacità dei centri hotspot (raddoppiando gli attuali 1600);
  • ampliando la capacità complessiva delle strutture ricettive;
  • autorizzando almeno 3mila posti nei centri di detenzione;
  • assicurando la velocizzazione delle pratiche per esaminare le richieste di asilo;
  • stabilendo delle misure per impedire che i migranti cui è stata respinta la richiesta di asilo facciano perdere le loro tracce;
  • restringendo le possibilità di movimento con i permessi temporanei (in poche parole la Ue chiede all’Italia di non dare documenti di viaggio ai richiedenti asilo).

Un approccio che presenta evidenti problematiche per il nostro Paese (e che peraltro appare discutibile dal punto di vista delle “tutele” dei migranti), che teme (giustamente) che, una volta implementati e irrigiditi i controlli, il meccanismo della relocation si impantani ugualmente, lasciandoci in una situazione decisamente complicata. Nel frattempo però, parte la sagra dei consigli non richiesti. Gli austriaci ci intimano di non far sbarcare nessuno e tenere tutti sulle isole in giganteschi hotspot; gli ungheresi dicono bestialità a ripetizione, Macron lascia parlare la sua parte di destra, Juncker cerca qualcuno che gli dia retta.

Strappiamo però qualche soldo da girare ai libici ed è lì che Minniti si muove portando a casa i risultati più impattanti. Il titolare del Viminale si muove secondo la logica del "governo dei flussi" e non sempre con il consenso dei suoi colleghi al Consiglio dei ministri. Chiudendo il cerchio, come spiega Alessandro Dal Lago:

Ma che significa governare? A quanto si comincia a capire, impedire che i migranti arrivino, delegando alla Libia e agli stati sub – sahariani il loro controllo e la loro espulsione verso i paesi d’origine. Ecco allora il silenzio – assenso, o il silenzio colpevole, sulla Libia che di fatto ha esteso il limite delle sue acque territoriali e impedisce con le minacce alle navi ONG di operare.

Dopo di che tutti i pezzi del puzzle vanno a posto. Dopo una campagna forsennata contro le ONG, culminata nel famoso codice, le loro navi si sono ritirate dal Mediterraneo. E ora i libici, a cui l’Italia fornisce denaro, armi e mezzi navali, faranno il lavoro sporco per noi e per un’Europa indifferente. Il lavoro sporco – altro che governo dei flussi – consiste nel respingerli verso l’Africa profonda, internarli nei campi e andare ad acchiappare in mare se riescono a imbarcarsi

Qualcuno apprezza e celebra il primo giorno a "migranti zero". Bel lavoro, compagno Minniti.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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