141 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

I bulli del rugby a processo: vittime prese a sprangate e costrette a fare sesso tra loro

Le violenze all’Accademia di Mogliano sono finite in tribunale: due minori a processo per rapina, stalking ed estorsione. Il padre di una delle vittime, un ragazzo di 16 anni, ha deciso di raccontare l’incubo del figlio: “Lo legavano ad una sedia e lo costringevano a bere litri di acqua fino a farlo vomitare”.
A cura di B. C.
141 CONDIVISIONI
Immagine

Violenza privata, violenza sessuale, stalking, estorsione e rapina nei confronti di un 16enne padovano che frequentava l'Accademia del Rugby di Mogliano Veneto: un luogo dove i genitori del giovane lo avevano iscritto pensando ad un luogo di eccellenza per studiare e allenarsi sotto la guida dei migliori tecnici nazionali (quella di Mogliano è una delle dieci accademie finanziate dalla Federazione Italiana Rugby ). Ed invece il ragazzino è stato protagonista di un incubo. Martedì è cominciato il processo nei confronti dei quattro bulli che per mesi hanno vessato il 16enne (all’epoca dei fatti, era il 2015, avevano tutti 17 anni): due giovani rugbisti hanno chiesto la messa in prova ai servizi sociali, mentre altri due affronteranno il processo.

Il padre del 16enne, Luca (nome di fantasia), ha deciso di racconta il supplizio del figlio tramite le pagine del Corriere della Sera:

Ogni sera, attorno alle 23, nei corridoi dell’Accademia del Rugby di Mogliano Veneto si alzava quella che veniva chiamata “onda” ma che a giudicare dagli effetti era uno tsunami. Appena l’unico adulto che avrebbe dovuto vigilare su di loro spariva, i ragazzi del ’98 irrompevano nella stanze delle matricole del ’99. Tra i più giovani c’era mio figlio Luca. Ho le foto di cosa restava delle stanze dopo il passaggio dell’onda e di quello che è rimasto sulla schiena di Luca dopo le bastonate. Questo accadeva in un centro di eccellenza dello sport italiano. Luca ha resistito 90 giorni prima di andare in pezzi”.

Ma in cosa consiste l’”onda”? L’ha messo nero su bianco la procura dei minori di Venezia: “Devastare le stanze delle matricole sfondando le porte di chi si chiudeva a chiave terrorizzato, far bere ai ragazzi litri di acqua fino a farli vomitare, colpirli con calci, pugni e spranghe, legarli alle sedie e costringerli ad atti sessuali tra loro dopo averli fatti spogliare”.

“Con Luca sono stati estremamente violenti — spiega il padre del 16enne — perché non si piegava alle vessazioni, anzi le denunciava, ma soprattutto perché si ostinava a voler studiare, cosa che non andava a genio a quelli del branco, ripetenti a dispetto di uno statuto che prevede l’espulsione di chi ha rendimenti scolastici scarsi. Evidentemente la federazione non voleva perdere atleti forti anche se asini”. Ma il giovane, sospinto proprio dal genitore, decide di non mollare subito: “C’erano l’orgoglio, la passione per lo sport, la speranza di uscire con la ragione da un incubo irrazionale. Ho incontrato i tecnici. Ho fatto presente gli episodi, ho mostrato loro le foto della schiena di mio figlio. Sembravano sconvolti, hanno detto che avrebbero preso provvedimenti. Nessuno però ha mosso un dito. Intanto quelli del branco hanno capito che Luca si stava difendendo e sono diventati ancora più cattivi”.

Secondo il racconto di Luca, i soprusi e le angherie per i ‘novellini’ dell’Accademia duravano anche intere nottate visto che nei dormitori ”non vigilavano educatori ma solo un ex giocatore di rugby ben chiuso nella sua stanza. L’incubo dei ragazzi finiva solo quando i capi del branco consegnavano loro una tesserina che ne certificava lo status di ‘immatricolati’ da mostrare ai capo banda quando li incontravano nei corridoi. Mio figlio non l’ha mai avuta: dopo tre mesi è scappato a casa, lasciando accademia e scuola”. Ormai è passato un anno da quella brutta storia: “Luca è tornato a giocare a rugby e a studiare in un altro istituto — prosegue il padre — ma non ha ancora del tutto recuperato il trauma. Io non riesco a capacitarmi dell’indifferenza della federazione. Mi hanno scritto che le violenze “appaiono riconducibili ai comportamenti dei singoli e non sono di valutazione certa, perché non conosciute ai responsabili dell’accademia”, cui pure avevo raccontato tutto. Non capisco la rassegnazione di alcuni genitori convinti che “l’immatricolazione” sia un passo necessario perché i loro figli facciano carriera. Provo sinceramente pena per i ragazzi sotto processo, non voglio vendette e il risarcimento è l’ultima cosa cui penso. Vorrei solo che quello che ha subito mio figlio servisse a cambiare le cose”.

141 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views