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I Brueghel al Chiostro del Bramante: due secoli di pittura fiamminga

Successo strepitoso per la mostra romana dedicata alla dinastia Brueghel nella prestigiosa sede espositiva del Chiostro del Bramante. Fino al 2 giugno, a due passi da piazza Navona, una full immersion nella pittura fiamminga dei secoli XVI e XVII.
A cura di Gabriella Valente
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Danza nuziale all'aperto

Dal 18 dicembre ad oggi, il Chiostro del Bramante con la mostra “Brueghel. Meraviglie dell’arte fiamminga” ha accolto quasi 100.000 visitatori, offrendo loro un viaggio visivo nel mondo serio e faceto delle Fiandre del XVI e XVII secolo, da scoprire fino al 2 giugno prossimo.

Trappola per uccelli

Sono più di cento le opere in mostra, molte delle quali mai esposte in Italia. Ci raccontano l’attività di una stirpe di pittori che riscosse un successo tale da rendere la firma ‘Brueghel' un’etichetta di qualità, ricercata con bramosia dai collezionisti. Ci raccontano, al contempo, la storia degli antichi Paesi Bassi e della fiorente arte fiamminga del ‘500 e ‘600, il clima spirituale e la ricchezza diffusa delle Fiandre, le evoluzioni tecniche e tematiche della pittura dell’epoca.

La dinastia dei Brueghel – e così l'esposizione ad essa dedicata – copre un arco di circa due secoli, con un albero genealogico estremamente ramificato: il capostipite della famiglia, il celeberrimo Pieter Brueghel il Vecchio, nasce intorno al 1525, mentre l’ultimo suo discendente, Abraham, lavora fino alla fine del ‘600. Tra l’uno e l’altro si articola una complessa genealogia di pittori: vari membri della famiglia furono particolarmente prolifici (basti pensare agli undici figli di Jan Brueghel il Giovane, nipote del capostipite) e tutti insegnarono ai propri figli il mestiere di famiglia, tramandando di generazione in generazione il nuovo ‘stile Brueghel’ tanto amato dal pubblico. Non mancano nella dinastia e in mostra alcuni parenti acquisiti, o sarebbe bene dire ‘pittori acquisiti’, che tramite unioni matrimoniali entrarono a far parte della famiglia, contribuendo ad arricchire la ricerca artistica dei Brueghel e la loro produzione. L’esposizione romana si snoda quindi, con una certa coerenza cronologica e tematica, tra i diversi discendenti della dinastia e tra i vari generi pittorici che essi praticarono: dal paesaggio alla natura morta, dal mondo contadino al soggetto religioso, dall’allegoria alle illustrazioni scientifiche, tutto rappresentato con minuzia estrema e magistrale attenzione al dettaglio.

I sette peccati capitali

Ad aprire la mostra c’è Hieronymus Bosch, punto di riferimento documentato di Pieter Brueghel il Vecchio, che si ispirò così tanto allo stile allucinato e allo spirito graffiante di Hieronymus, da essere definito “un nuovo Bosch”. È infatti da Hieronymus che Pieter trae quello stile grottesco, minuzioso e caotico insieme, che non si esime dal descrivere le bruttezze dell’uomo per restituire una visione del mondo terrena, che educa, ammonisce, intrattiene e diverte lo spettatore. Esemplare a questo riguardo è la tavola boschiana de “I sette peccati capitali”, dove i vizi sono tradotti in piccole e goffe scenette di vita quotidiana, inserite simbolicamente in un globo oscillante su una rupe.

Proseguendo nel percorso espositivo, illuminante è il confronto tra gli artisti fiamminghi che ripresero modelli italiani e quelli che invece inaugurarono autonome linee di ricerca. È di grande interesse comprendere le innovazioni che i pittori fiamminghi mettevano in atto nel medesimo periodo in cui in Italia artisti come Michelangelo, Leonardo o Tiziano conducevano i loro studi concentrandosi sulla figura umana come unico soggetto (per di più idealizzato) dell’opera d’arte: è allora che comprendiamo, per esempio, la carica rivoluzionaria della pittura di paesaggio, ‘invenzione’ tipicamente fiamminga, che emancipa la natura dal ruolo di sfondo e la rende protagonista del dipinto. Pieter Brueghel il Vecchio elabora queste ricerche ed influenza intere generazioni con la sua pittura, che si rivela rivoluzionaria e innovativa anche quando verte su temi tradizionali, come quello de “La Resurrezione”.

Gli adulatori

Si entra nel vivo della mostra con le opere di Pieter Brueghel il Giovane e Jan Brueghel il Vecchio, figli del ‘caposcuola’ e suoi attenti seguaci. Guardando i loro dipinti, scopriamo la lezione impartita dal padre, ne ritroviamo temi e stile. Così ci imbattiamo, per esempio, nella meravigliosa “Danza nuziale all’aperto” del primogenito, una sfrenata festa di campagna con dettagli buffi e a tratti scabrosi, che ci ricorda di Pieter il Vecchio come l’iniziatore della pittura di contadini, ovvero colui che ha sdoganato il tema della vita contadina, elevandolo a soggetto di opere d’arte e introducendolo nelle dimore aristocratiche. È a questo stesso ‘stile contadino' che Pieter il Giovane guarda quando realizza "Gli adulatori", curiosissima trasposizione pittorica di un proverbio fiammingo, trascritto sulla cornice circolare: “poiché mi gira molto denaro, ho tanti adulatori attorno a me”. Con Jan Brueghel il Vecchio, secondogenito, ammiriamo una pittura più raffinata che, oltre ad affrontare il tema del paesaggio, è legata in particolar modo al genere della natura morta: una splendida ghirlanda di fiori che cinge una Madonna col bambino, dipinta ‘a quattro mani’ con Rubens, anticipa il corridoio delle nature morte, dove numerosi dipinti floreali, perlopiù opere di Jan Brueghel il Giovane, dimostrano il successo di questo genere pittorico, che era insieme decorativo e allegorico, rimandando, attraverso la bellezza dei fiori colti al culmine del loro ciclo vitale, ai concetti di transitorietà e vanitas delle cose terrene.

Studio di farfalle e altri insetti

Messaggi simbolici erano trasmessi attraverso elegantissimi dipinti allegorici: in mostra le allegorie dei quattro elementi, dei sensi, della guerra, della pace, dell’amore, esibiscono una pittura ricca, che ama indugiare piacevolmente sui ogni dettaglio, sulla natura, gli oggetti preziosi, gli animali. Procedendo, tra le eccezionali evoluzioni della natura morta e le nuove scene di vita contadina, una piccola sala lascia senza fiato: quella con gli “Studi di farfalle e altri insetti” dei Van Kessel – ramo collaterale della famiglia Brueghel – i quali su tavole di legno, lastre di rame ed incredibilmente su marmo, dipingono farfalle, insetti o rettili così realisticamente e dettagliatamente da farli apparire come luminosissime e raffinatissime illustrazioni fotografiche di manuali scientifici.

Allegoria dell'olfatto

I Brueghel furono i protagonisti dell’epoca d’oro della pittura fiamminga ed ottennero una fama e un successo commerciale rari per l’epoca, tanto da essere presi a modello finanche dai pittori di inizio ‘700, come si vede in mostra con i dipinti di Josef Van Bredael, che talvolta firmava i suoi quadri con le sole iniziali, nella speranza di essere confuso con il più famoso Jan Brueghel. Le ultime generazioni Brueghel sfruttano il proprio nome celebre, reiterando stili e temi dei predecessori, fino all’estremo discendente della famiglia, Abraham, che si stabilisce a Napoli, lasciandosi condizionare fortemente dal contesto artistico che lo ospita: lo stile Brueghel va perdendosi a favore di pittura materica, viscerale e opulenta. Con Abraham termina la leggendaria dinastia Brueghel e coerentemente si conclude il percorso espositivo delle meraviglie dell'arte fiamminga.

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