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Opinioni

Ho visto lo spettacolo in cui Grillo ci chiede di dirgli chi è davvero

Sono stato allo spettacolo teatrale di Beppe Grillo e vi spiego perché stavolta mi ha spiazzato davvero. E vi dico anche chi vince alla fine fra il Grillo comico e il Grillo politico.
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L’ultima volta che andai a uno spettacolo di Beppe Grillo era il 3 aprile del 2014, sempre a Napoli, al Palapartenope. Si era nel pieno della campagna elettorale per le Elezioni Europee e il clima era radicalmente diverso: in platea era un fiorire di bandiere, cartelli e magliette col #VinciamoNoi, il logo del MoVimento campeggiava ovunque e in prima fila c’era tutto lo stato maggiore campano / laziale, ancora non promosso sul campo quale “direttorio”.

La sensazione che ebbi a fine spettacolo fu quella di aver assistito a “un comizio elettorale, o meglio, un lunghissimo incontro di un leader di partito con la sua gente in vista di un appuntamento elettorale presentato come una vera e propria crociata”. Una sorta di racconto collettivo del Movimento 5 Stelle di cui il pubblico conosceva copione e battute, fino a “completare le frasi e le informazioni date da Grillo, correggerne le sbavature, regalare momenti di reale comicità”, in un incredibile gioco di interazioni. Un leader politico che usava il comico come pretesto, come strumento narrativo per la celebrazione di un MoVimento destinato a una vittoria ineluttabile, e che solo marginalmente lasciava spazio al talento dissacratorio del satiro.

Dalla scomoda sedia del Palapartenope alla poltrona dell’Augusteo sembrano passati decenni ed è difficile capire il perché. La batosta delle Europee, certo. Il cambiamento, lento ma sostanziale, del Movimento 5 Stelle, forse. Il plateau emotivo che da tempo ha raggiunto il popolo 5 Stelle, che si mobilita con più difficoltà rispetto al passato e che si è ormai assuefatto ai toni del dibattito politico, probabilmente.

Ma a essere diverso, cambiato, è principalmente Grillo. Che, e questa è la grande scoperta dell’intero spettacolo, non nasconde più le contraddizioni fra il comico e il politico, fra il giullare e il re, ma prova a esplicitarle, a renderle parte essenziale della narrazione. E lo fa partendo dalle origini, dalle sue origini, raccontando la sua infanzia e particolari della sua vita privata, mettendosi a nudo, svelando i suoi "cigni neri" e le sue paure, in una sorta di flusso di coscienza, che dovrebbe servire a creare un legame empatico, che vada oltre la condivisione del messaggio "politico", con gli spettatori e che dovrebbe mettere a nudo l'uomo, convincendolo ad abbandonare i panni del politico per riabbracciare quelli, più autentici, del guastatore, del comico.

Un tentativo che riesce solo in parte, per la verità. “Una lotta senza veli, senza esclusione di colpi e di verità finché non ne rimarrà uno solo!”, anticipava Grillo in sede di presentazione dello spettacolo. È la catarsi che Grillo cerca, ma senza raccogliere la sfida fino alle sue estreme conseguenze. Il punto è che, riducendo la sua stessa esistenza al dualismo fra il comico e il politico, fra il guascone e l’uomo responsabile, fra il figlio che accetta di prendere diplomi che sa che non gli serviranno e il comedian che non ha paura della censura, fra il padre “trattato male dai figli” e il politico che pensa al futuro del Paese, Grillo esclude una serie di possibilità narrative, di uscite di sicurezza, di finali alternativi. Finisce per banalizzare, per minimizzare tutto, per prendersi poco sul serio e fare un torto a sé stesso e a quello che ha costruito, insomma. Dimenticando che per lungo tempo, e forse ancora adesso, è stato l'uno e l'altro, comico e politico, satiro e uomo di potere, militante e capo.

“Io scherzavo”, dice a proposito dell’avventura che lo ha portato a fondare il primo partito italiano. “Ero solo curioso e ho messo in contatto intelligenze”, spiega parlando degli inizi del suo blog, caso unico in Italia per reputazione e popolarità in Rete. “Avevo solo letto il bilancio”, racconta a proposito del caso Parmalat. È un prendersi poco sul serio, un gioco a minimizzare, che sembra fin troppo strano. Anche al pubblico in sala, che si accende e si rianima quando qualcuno dalla platea gli rende giustizia e urla: “Beppe sei tu il nostro sogno”.

La dissociazione, dunque, funziona relativamente poco e anzi rischia di appesantire un po’ l’intero spettacolo. Ma Grillo è ancora un comico straordinario, con tempi eccezionali e un istinto unico, dissacrante e consolatorio al tempo stesso. Sa improvvisare come pochi e interagire col pubblico in modo travolgente. “Se non scrivesse gli spettacoli recitando sempre a braccio sarebbe una bomba”, commenta qualcuno dopo l’ennesima battuta “al volo” su Napoli e i napoletani. Commento ingeneroso, forse, ma che rende perfettamente l’idea di come anni di politica non abbiano incrinato il mito e la tempra del mattatore da palcoscenico.

È uno spettacolo in cui si ride, non c'è dubbio. Nel quale la "politica" è parte integrante, mentre "l'attualità politica" trova pochissimo spazio. Avrò contato due, forse tre battute su Renzi (tra cui quel "è un minorato morale" di cui tanto si è parlato), zero riferimenti alle imminenti elezioni amministrative (zero, sul serio), nessuna citazione per singoli parlamentari (solo qualche vago rimando ai "ragazzi straordinari" portati a Roma), un accenno minimo, riuscitissimo, al caso che in teoria dovrebbe impegnarlo notte e giorno, la sospensione del Sindaco di Parma: "Metteremo una nuova regola, ogni eletto sarà sospeso il primo giorno e poi man mano che rispetta il programma sarà riammesso".

Queste digressioni sull'attualità sembrano quasi una concessione al pubblico. Che da lui si aspetta anche "indicazioni", forse non comprendendo fino in fondo che la dimensione messianica Grillo sembra averla accantonata, con il passo di lato e il lento disimpegno di questi mesi.

E Grillo alla fine cede, il comico e il politico, lasciano spazio al "simbolo", al totem. E diventa sognatore, visionario, idealista.

“Il mondo è di chi ha il coraggio di rischiare e finisce per cambiare la realtà”, dice a un certo punto Grillo, introducendo una lunga carrellata di nomi e volti che hanno fatto e stanno facendo la storia: da Renzo Piano a Elon Musk, passando per Stieglitz e Yunus, sono i nuovi santi laici, i totem della comunità che il non comico – non più politico sente di aver costruito. Una comunità che riconosce a lui e a Casaleggio (applauditissimo il suo ricordo) quei meriti e quel valore "politico" che il comico prova a contestare senza riuscirsi. Per questo, alla fine, a vincere è sempre e comunque la dimensione pubblica di Beppe Grillo, ormai trasfigurato in "simbolo".

E a sentenziarlo è la cosa più vera che Grillo stesso sente di aver costruito: una comunità. Alla comunità è il politico a indicare obiettivi concreti e nemici vicini, è il comico a dare argomenti per ridere e sorridere. Ma è il simbolo a dare una speranza, un orizzonte ideale, la forza per rivendicare prima di tutto il diritto alla felicità.

E la comunità che alla fine dello spettacolo manda a quel paese il Grillo politico, in realtà non vuole indietro il Grillo comico: rifiuta semplicemente la dicotomia in favore del simbolo, di ciò che ormai rappresenta.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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