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Hamas non c’entrava nulla con l’uccisione dei tre ragazzi: ora lo dice anche Israele

Non ci sono prove che legano l’uccisione dei tre giovani autostoppisti israeliani (scomparsi il 12 giugno e ritrovati morti il 30 giungo) ad Hamas. Questo è quanto affermano fonti della polizia di Tel Aviv che smentiscono le accuse del premier Benjamin Netanyahu contro l’organizzazione palestinese, e contribuiscono a fare nuova luce sulle motivazioni che hanno portato all’invasione militare dei territori palestinesi.
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Hamas non c'entra nulla con l'uccisione dei tre giovani autostoppisti israeliani. Il casus belli che ha dato il via all'ennesimo intervento militare israeliano nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, provocando al momento più di ville vittime tra i palestinesi, si è rivelato privo di fondamento.
A rivelare che non ci sono collegamenti tra la formazione politica palestinese (considerata comunque terrorista da molti paesi ed entità sovranazionali come l'Unione Europa), è stato Micky Rosenfeld – portavoce della polizia israeliana per i media stranieri –, che ha affermato al giornalista della BBC Jon Donnison l'assenza di prove che mettano in relazione i militanti di Hamas con l'uccisione dei tre giovani coloni israeliani.
“Il responsabile della polizia israeliana Rosenfeld – ha tweettato poche ore fa il giornalista britannico –, mi ha riferito che gli uomini responsabili dell'uccisione dei tre ragazzi israeliani appartengono ad una cellula solitaria, affiliata ad Hamas, ma non operante sotto la loro guida. E ciò sembra contraddire la linea dura adottata dal governo di Netanyahu”.

Come scritto molte settimane fa proprio su Fanpage, le rivelazioni di queste ore non sorprendono affatto. Già nell'immediato, ovvero subito dopo la scoperta dei corpi senza vita dei cittadini israeliani, erano sorti molti dubbi relativi alle modalità e alle finalità di un triplice omicidio che non avrebbe fatto altro che infiammare gli animi, portando alla logica ed immediata reazione di Israele.

Da quel macabro ritrovamento passarono poche ore, che il premier Benjamin Netanyahu accusò la formazione politica palestinese di essere colpevole dell'omicidio condannandola senz'appello e, soprattutto, senza prove: “Hamas è responsabile per tutto ciò – affermò il leader con la Stella di Davide –, e Hamas pagherà”.

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Come la cronaca riporta, seguirono i bombardamenti sulla striscia di Gaza e poi l'operazione di terra Protective edge (Margine di protezione), mentre in Cisgiordania, ripresero gli arresti di massa e, in alcuni casi, le uccisioni dei palestinesi da parte delle forze armate di Tel Aviv. Le stesse che poche settimane prima avevano rilasciato, nell'ottica di un difficile e complicatissimo processo di pace, molte decine di prigionieri politici detenuti in Israele. La cronaca di questi giorni riporta, ad oggi, circa mille vittime tra la popolazione palestinese e una cinquanta tra i militari dello Shin Bet (l'esercito israeliano).

Le domande, relative al quell'omicidio, sono tutte ancora in piedi: chi ha ucciso e perché Naftali Frenkel e Gilad Shaar di 16 anni e Eyal Yifrach di 19? Chi ha ricavato che cosa dall'ennesima e devastante operazione militare nei territori palestinesi? Secondo lo stesso Rosenfeld ad agire sarebbero stati dei cani sciolti che non avrebbero, di fatto, nulla a che vedere con Hamas né con nessuna altra organizzazione estremista. E proprio a questo aspetto sarebbero legate le difficoltà degli investigatori israeliani relative all'individuazione dei responsabili dell'omicidio, proprio perché non essendoci una struttura nota e riconoscibile, come Hamas o altre formazioni attive in Palestina, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio.
Ad oggi, inoltre, si tende ad escludere anche l'intervento delle neo formazioni jihadiste quali l'Isis, soprattutto perché non sono state avanzate rivendicazioni di sorta da parte di alcuno di questi gruppi e perché gli stessi sono operativi su altri fronti militari. In ogni caso non è da sottovalutare l'impatto emotivo, sul mondo arabo, dell'ennesima carneficina palestinese realizzata da Israele.

La verità giudiziaria e criminale relativa agli esecutori del triplice omicidio appare, purtroppo, offuscata davanti all'ennesima tragedia umanitaria che sta colpendo il popolo palestinese. Il numero delle vittime, sopra riportato, è solo la punta dell'iceberg visto che si deve considerare il numero altissimo e incalcolabile di feriti e, soprattutto, di strutture distrutte a causa dell'avanzata dei mezzi militari israeliani nei territori palestinesi.

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L'operazione militare israeliana è giunta, tuttavia, in un momento particolare della tribolata storia dei territori. Poche settimane prima i vertici di Hamas e di al-Fatah (l'organizzazione politica che ha visto come suo leader di spicco Yasser Arafat, che negli ultimi anni è stata accusata da parte araba di essere connivente con israele) avevano stretto un importante accordo politico che sanava una ferita sanguinosa di anni e che, di conseguenza, andava ad unificare gli sforzi palestinesi per il riconoscimento del proprio status internazionale di Stato a tutti gli effetti (al momento la Palestina ha ancora una definizione ibrida). Un accordo che aveva fatto preoccupare non poco Tel Aviv, che individuavano nella neo partnership un nuovo pericoloso avversario. Persino gli Stati Uniti d'America avevano applaudito, seppur senza particolari clamori, all'intesa, facendo suonare con tutta probabilità il campanello d'allarme israeliano che, è bene ricordare, è legato a doppio filo con gli Usa. Se infatti il processo di cooperazione tra le due formazioni politiche palestinesi fosse andato avanti, o se andrà avanti, sarà sempre più complicato per Israele mantenere il controllo dei territori occupati e quindi la sua supremazia della zona che a tutt'oggi rimane quasi esclusivamente sul piano militare.

Ancora una volta, in questo quadro, è possibile mettere in correlazione le potenti lobby degli ebrei americani con la posizione, tutt'altro che onorevole, dell'amministrazione di Barak Obama che proprio pochi giorni fa ha votato contro (unica nazione tra le presenti) la risoluzione del Consiglio per i diritti umani dell'Onu – proposta da paesi arabi, Cina, Russia, India, paesi del Latinoamerica e africani –, e relativa ad aprire un'indagine a carico di Israele per i crimini commessi in Palestina (mentre i Paesi dell'Unione Europea, compresa Italia, hanno deciso di astenersi). In quell'occasione, così come nell'intero arco del conflitto i rappresentanti politici Usa hanno sempre mostrato il supporto ad Israele, forse anche perché – sottolinea qualche osservatore più malizioso –, i termini elettorali iniziano ad avvicinarsi e i seggi scottano sempre più.

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