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Guerra in Iraq, il Pentagono ammette: 629 soldati Usa contaminati con armi chimiche

Il rapporto dell’Onu: Italia e Spagna, fino al 1988, hanno venduto all’Iraq di Saddam 85mila proiettili M110 (copie), armamenti destinati alla guerra chimica e batteriologica.
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Almeno seicentoventinove soldati americani sono stati esposti a contaminazioni da armamenti chimici, biologici e radiologici nucleari (noti con la sigla Cbrn) tra il 2003 ed il 2011. Questo è quanto hanno ammesso poche ore fa i vertici del Pentagono americano direttamente attraverso le parole del Segretario di Stato alla Difesa Usa Chuck Hagel che, dopo indiscrezioni e l'inchiesta giornalistica del New York Times pubblicata ad Ottobre scorso, ha dovuto ammettere che un numero relativamente elevato di soldati nordamericani in servizio in Iraq, durante l'invasione del 2003 e presenti fino al ritiro delle truppe avvenuto nel 2011, è entrato in contatto con agenti chimici senza poter godere né delle protezioni del caso né dei necessari trattamenti sanitari successivi alla contaminazione. Poco prima che scoppiasse il caso lo stesso Hagel – a causa delle pressioni provenienti dai veterani dell'Iraq –, aveva ordinato la revisione interna dei registri del Pentagono, per valutare quanti e quali componenti delle differenti forze armate Usa avessero denunciato, duranti gli anni di servizio, di essere entrati in contatto con sostanze tossiche come i gas sarin, iprite, nervino e fosforo bianco.

Le cifre

Secondo le stime fornite dai militari Usa ed Iracheni nel corso delle operazioni statunitensi in Mesopotamia, i soldati a stelle e strisce hanno scoperto circa 5mila proiettili pronti per la guerra chimica e batteriologica, munizioni che secondo fonti dell'intelligence congiunto Usa-Iraq ora potrebbero persino essere finite nelle mani dei fondamentalisti islamici fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi. Secondo i report solo ora resi noti i soldati della coalizione anglo-americana hanno rinvenuto, durante i dieci anni di permanenza, numerosi depositi di armamenti Cbrn subendo in almeno sei occasioni attacchi potenzialmente letali. Secondo quanto scoperto dal Nyt 17 militari nordamericani e sette agenti di polizia iracheni sono stati esposti ai gas nervino e iprite tra il 2004 e il 2011.

“Vista la situazione e a quanto siamo stati esposti è di certo troppo poco e troppo tardivo quello che si sta facendo – ha affermato Jordan Zoeller, ex sergente dell'esercito Usa, in servizio in uno dei battaglioni esposti al gas iprite durante operazioni di controllo del territorio avvenute nel 2008 –. Sono stato congedato dopo aver sviluppato una serie di patologie fisiche, incluse asma e psoriasi”.

Secondo quanto riportato dalla testa americana i problemi per l'ex sergente Usa sarebbero iniziati poche settimane dopo il ritrovamento dei proiettili contenenti l'agente chimico noto anche come gas mostarda (perché il suo odore ricorda fortemente quello del condimento), purtroppo però non è possibile datare con certezza quando e dove è avvenuta la contaminazione perché all'epoca dei fatti l'Esercito Usa negò al sergente di potersi sottoporre ad analisi di sorta per accertare, o meno, la possibile contaminazione. Tuttavia visti i sintomi, gli esperti sono concordi nel ritenere che le patologie insorte all'ex militare americano possono essere strettamente legata al contatto con agenti chimici come l'iprite. Il caso di Jordan Zoeller, come detto, non è l'unico e nelle inchieste del Nyt si susseguono casi, date e circostanze tutt'altro che piacevoli per i vertici della Difesa Usa. Dopo il primo articolo altri otto veterani si sono fatti avanti raccontando cosa hanno visto e, soprattutto, a cosa sono stati esposti e con quali conseguenze. Uno di questi è il caso del sergente Duling che, nel 2008, condusse – senza saperlo ha affermato – la sua unità in un deposito di armi sito nella periferia di Baghdad, adibito a magazzino per armi chimiche (iprite) ed esponendo così lui stesso e la sua squadra all'agente chimico.

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Un silenzio sospetto

Una delle possibili motivazioni per cui gli Usa abbiano deciso di ignorare gli allarmi lanciati dai suoi stessi soldati risiederebbe nel ruolo giocato dagli Stati Uniti nel fornire proiettili e munizioni al Raìs durante la guerra Iran-Iraq (iniziata nel 1980 e finita nel 1988) . “In cinque dei sei incidenti in cui le truppe vennero ferite da agenti chimici – si legge in una delle inchieste del Nyt –, emergeva che le munizioni erano state progettate negli Stati Uniti d'America, prodotte in Europa e armate degli agenti chimici in linee di produzione costruite in Iraq e gestite da compagnie occidentali. A quanto emerge dalle memorie degli agenti del servizio di Nonproliferazione, una parte cospicua di testate e proiettili rinvenuti in Iraq violavano la Convenzione sugli armamenti chimici”. Secondo tale convenzione le armi chimiche devono essere messe al sicuro, contate e distrutte con specifiche metodologie e tempische. Cosa che, a quanto si apprende, non sarebbe avvenuta in Iraq proprio per il diretto coinvolgimento commerciale degli Usa e degli altri partner occidentali.

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In una nota ufficiale il Pentagono ha chiarito che sebbene non abbia rispettato alla lettera i protocolli di sicurezza previsti dalla convenzione abbia aderito allo spirito della stessa perché “date le difficoltà operative riscontrate sul terreno non poteva agire diversamente non mettendo in ogni caso in pericolo la sicurezza degli iracheni, degli stati confinanti, delle forze della coalizione e dell'ambiente”. Ad essere messo sul banco degli imputati, in particolar modo, è il proiettile di tipologia M110 prodotto sia dagli Usa e armato in alcuni casi col famigerato fosforo bianco o in precedenza con l'iprite, con l'obiettivo di contaminare forze armate avversarie e contaminare le aree geografiche assoggettate allo scontro.

“Ma gli Stati Uniti hanno anche esportato sia i proiettili che la tecnologia che li armava – si legge ancora sulle colonne del Nyt –. In particolare quando l'Iraq decise di migliorare le proprie capacità belliche negli anni '80, trovò aziende disponibili in Italia e Spagna pronte a stringere rapporti commerciali col Raìs. Secondo quanto riportato da documenti riservati delle Nazioni Unite questi due paesi hanno venduto all'Iraq, fino al 1988, circa 85mila proiettili M110 non armati”. Al potenziamento bellico di Saddam contribuirono, in ogni caso, anche il Regno Unito, la Germania Federale, il Belgio e la Francia.

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