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Opinioni

Grecia: ed ora che succede?

Il “no” alla proposta della troika da parte degli elettori greci aumenta il nervosismo dei mercati, ma l’uscita della Grecia dall’euro resta per ora un’ipotesi relativamente poco probabile. Nel frattempo Varoufakis si fa da parte e Tsipras si prepara a riprendere le trattative già domani alla riunione straordinaria dell’Eurogruppo….
A cura di Luca Spoldi
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Ed ora che succede? Con la vittoria, non esattamente a sorpresa, del “no alla proposta di aiuti avanzata dai creditori internazionali alla Grecia ma condizionata all’accettazione di nuove misure di “austerità fiscale” (in particolare l’eliminazione dell’esenzione dall’Iva ordinaria al 13% per le isole e dallo stop alle “pensioni baby”, oltre alla ripresa delle privatizzazioni) i mercati finanziari europei vedono stamane prevalere nettamente gli ordini di vendita, che colpiscono in particolare, anche a Milano, i titoli del comparto finanziario, saliti fin quasi all’ultimo minuto disponibile prima del referendum per le misure straordinarie già varate e quelle solo annunciate dalla Bce, come l’estensione del programma di quantitative easing anche ai titoli obbligazionari di una serie di società ed enti anche sovranazionali o multinazionali operanti nel settore delle reti infrastrutturali nell’eurozona, tra cui Enel, Snam, Terna, Cassa depositi e prestiti e Ferrovie dello stato italiane.

Mentre lo scenario è in movimento, col discusso ministro delle Finanze di Atene, Yanis Varoufakis, che nel proprio blog fin da ieri notte ha preannunciato le sue dimissioni, in giornata, per rimuovere un possibile “ostacolo” alla ripresa delle trattative tra la Grecia e la troika, in molti si chiedono se questo risultato elettorale non significhi in realtà un via libera all’uscita di Atene dall’euro. Le opinioni al riguardo divergono ampiamente a seconda del “credo” di coloro che le esprimono nei confronti dell’euro stesso e dell’egemonia politica ed economica che la Germania continua a dimostrare nell’eurozona. Chi fa il “tifo” per la Grexit implicitamente (o esplicitamente) ritiene l’euro un esperimento condannato al fallimento proprio dalla conclamata incapacità della valuta unica di appianare le divergenze macroeconomiche tra i vari stati partecipanti e non manca di sottolineare come anche grazie all’euro Berlino sia riuscita ad imporre la sua egemonia sul vecchio continente come neppure con le armi in passato era mai riuscita a ottenere.

Chi invece sostiene che Atene non uscirà dall’euro né tanto meno sarà accompagnata alla porta dall’Unione europea pensa invece che fuori dall’euro ci sia solo il deserto economico, sottolinea che procedure “ordinarie” di sganciamento e ritorno ad una valutazione nazionale semplicemente non esistono, ricorda che l’eventuale ritorno di Atene alla dracma avrebbe senso solo se comportasse una svalutazione competitiva di questa verso euro, ma aggiunge che per la Grecia, che esporta poco o nulla ed in settori a bassa marginalità, cercare di rilanciare l’economia attraverso un boom dell’export ha davvero poco senso, perché sarebbero superiori i danni legati all’inflazione importata che non i benefici derivanti da maggiori introiti per gli esportatori. A pagare il conto della Grexit sarebbero, alla fine, quegli stessi pensionati e lavoratori dipendenti greci che il governo di Alexis Tsipras vorrebbe proteggere continuando a respingere le richieste di ulteriore austerità.

Anche per questo alcune case d’investimento come Goldman Sachs già nei giorni scorsi spiegavano che sebbene l’eventuale vittoria del “no” potesse dare il via ad una rapida e severa correzione delle borse, che secondo gli esperti americani (ma anche Axa, Societe Generale e Credit Suisse hanno espresso valutazioni analoghe) avrebbero potuto perdere fino al 10% rispetto ai livelli ante-referendum, proprio l’apparire “improbabile” di un’uscita della Grecia dall’euro (che comunque il “no” ha reso meno improbabile di quanto avrebbe fatto la vittoria del “”) avrebbe semmai dovuto indurre gli investitori ad approfittare, senza fretta, della correzione, in vista di un graduale recupero dei listini nei prossimi mesi. A dirla tutta, visto che per le borse il problema principale resta, in tutto il mondo, quello di riscontrare tassi di crescita degli utili (e dell’economia in genere, ossia del Prodotto interno lordo dei vari paesi) adeguati ai multipli di valutazione a cui trattano i titoli, a fronte di una frenata in atto in Cina e di un probabile graduale rialzo dei tassi Usa già dalla fine di quest’anno, una correzione estiva delle borse europee potrebbe fare bene.

Che poi questo stia ad indicare che i mercati stanno già iniziando a scontare l’uscita della Grecia dall’euro e che questa eventualità possa o meno dare origine e un processo disgregatore dell’euro stesso è difficile dire al momento. Molto dipenderà sia dalla proposta che Alexis Tsipras proverà a fare ai partner europei sia dalla risposta che questi daranno, posto che è improbabile che a fare la prima mossa possa essere la Bce ritirando i quasi 90 miliardi di euro di liquidità d’emergenza fornita finora alle banche greche, le stesse dalle quali aziende e risparmiatori greci hanno ritirato circa 120 miliardi di euro di depositi negli ultimi sei anni (anche se il governatore della Banca di Francia e membro del board della Bce, Christian Noyer, ha già chiarito che anche l’ipotesi di un taglio del debito contratto da Atene con la Bce, di cui una prima rata da 3,5 miliardi scadrà il prossimo 20 luglio, è “fuori questione”). Uno stock investito poi in gran parte in asset all’estero e che dovrebbe garantire a molti greci un certo margine di sicurezza per affrontare il periodo di incertezza finanziaria che potrebbe seguire.

Se non ci sarà la “Grexit” alla fine tutta questa vicenda potrebbe persino rivelarsi salutare per il vecchio continente, nella misura in cui spingesse l’eurozona ad affiancare seriamente misure “pro crescita” a quelle “pro austerità” seguite finora. Altre ipotesi pur circolate in queste ultime settimane, come l’introduzione di una doppia valuta in Grecia sull’esempio di quanto da tempo esiste in altri paesi (come la Cina) appaiono al momento di difficile attuazione anche perché non modificherebbero significativamente lo scenario attuale e potrebbero apparire agli occhi degli elettori greci come un tradimento del mandato popolare appena chiesto (e ottenuto) da Tsipras col referendum. Ma visto che al momento si naviga a vista, nonostante la crisi del debito sovrano sia una realtà da ormai oltre 5 anni, non sono ipotesi che si possano escludere completamente.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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