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Giacometti in mostra alla Borghese. La “foresta di statue” si infittisce

A Roma, dal 5 febbraio al 25 maggio nelle sale della Galleria Borghese, le intense e tragiche sculture dell’artista svizzero incontrano Canova, Bernini e l’antico. Il loro dialogo è magnifico.
A cura di Gabriella Valente
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L’ultima monografica romana di Alberto Giacometti risale al 1970. Decisamente troppo tempo fa. Ma non è questa l’unica ragione per cui la mostra Giacometti. La Scultura, aperta da oggi fino al 15 maggio alla Galleria Borghese, è da considerarsi un evento imperdibile.

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È imperdibile perché è bellissima, densa, unica nel suo genere, difficile da realizzare eppure compiuta. Un omaggio appassionato ma ben studiato all’artista che reinventò la scultura del XX secolo, che inventò la statuaria moderna. Di origini svizzere, Alberto Giacometti (1901-1966) viaggiò per l’Europa e negli Stati Uniti; conobbe bene l’Italia e visse a lungo a Parigi. Fu vicino a personaggi quali Sartre, Queneau, Bataille, Dalì, Picasso, Beckett. Studiò l’arte antica, egizia, greca, quella medievale, rinascimentale, barocca e neoclassica, insieme alle mode e alle avanguardie del primo Novecento. Disegnatore, pittore, scultore, Giacometti ebbe dunque una cultura profondissima e composita, dalla quale è derivato il suo linguaggio inconfondibile e tragicamente moderno.

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Al Museo di Villa Borghese, il giovane Giacometti si recava spesso durante il lungo soggiorno romano del 1921 per copiare sui suoi quaderni i capolavori collezionati da Scipione. Oggi l’artista torna in quelle sale non come un ospite qualunque, ma come co-protagonista. Le figure esili, scarne e tormentate, i bronzi e i gessi di Giacometti compaiono, discreti, tra le sculture della collezione Borghese; trovano il loro posto, ed è come se un posto per loro fosse stato riservato da sempre. Il dialogo che nasce tra la drammatica modernità dell’artista svizzero e la potenza monumentale degli antichi è sorprendentemente perfetto; entusiasmante il risultato di accostamenti audaci eppure così opportuni.

Donna sgozzata (Femme égorgée), 1933, bronzo, Collezione Peggy Guggenheim © Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy,2014
Donna sgozzata (Femme égorgée), 1933, bronzo, Collezione Peggy Guggenheim © Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy,
2014

Diretta e attraente, nella sala del David, la giustapposizione tra l’eroe berniniano dalle membra in tensione e dall’equilibrio precario e L’homme qui chavire di Giacometti, filiforme, fuori asse e sul punto di cadere. Nella sala del Canova, le forme astratte e ondulate della Femme couchée qui rêve e quelle essenziali e pure della Tête qui regarde evocano perfettamente la posa flessuosa ed il volto della Paolina neoclassica che è al centro della stanza. Esaltante il collegamento tra l’Ermafrodito antico e la avanguardistica Donna sgozzata, inaspettatamente legati da linee sinuose e contrastanti.

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Una riflessione sulla fragilità umana è offerta magistralmente e drammaticamente dal confronto tra il celebre Homme qui marche ed il possente gruppo berniniano con Enea e Anchise, mentre nella sala dell’Apollo e Dafne brucia potente il contrasto tra il dinamismo barocco e le figure stanti e stilizzate delle Grandi donne di Giacometti, dove il movimento è evocato solo dal trattamento caotico delle superfici. Questo stesso trattamento mosso e frastagliato della materia si riscontra negli intensi busti esposti tra le molte opere della sala del Lanfranco.

In uno dei due saloni più grandi spiccano, oltre all’importantissima scultura surrealista dell’Oggetto invisibile, frammenti bronzei di corpi umani – La mano, La gamba – in riferimento ai reperti frammentari della statuaria antica, ma anche al dramma della guerra; invece nell’altro salone, quello d’ingresso, quattro tipiche figure giacomettiane, altissime, esili, grezze, nonostante la loro grandezza si perdono tra gli antichi marmi maestosi e le decorazioni pittoriche che invadono le pareti, ricordando che la scultura contemporanea è destinata a perdere la sfida della monumentalità, almeno di quella monumentalità celebrativa, positiva che ha resistito fino all’Ottocento. L’artista svizzero, nella sua lezione potente e a tratti nichilista, ha insegnato anche questo.

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Emblemi della condizione dell’uomo contemporaneo, le sculture inquiete di Alberto Giacometti vanno ad infittire quella che Bernini definì una “foresta di statue”, la collezione d’arte dei Borghese, ed offrono così un viaggio di interpretazioni della figura umana in scultura, dall’antico al moderno e finalmente al contemporaneo. Grazie a questa mostra, oggi nel Museo Borghese tutte le epoche della statuaria si intrecciano permettendo di studiare le visioni degli antichi, di Bernini, Canova e Giacometti simultaneamente e di scoprire, grazie al magnifico allestimento, gli infiniti punti di vista per leggere tutta la scultura che c’è.

Immagine principale: Alberto Giacometti, Homme qui marche I, 1960, INV0314, Bronze, épreuve de la Fondation Maeght, fonte de 1963, Susse Fondeur 183 x 26 x 95,5 cm Collection Fondation Aimé et Marguerite Maeght, Saint-Paul de Vence (France) Photos Claude Germain – Archives Fondation Maeght, Saint-Paul de Vence (France) AGD 1448 © Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy, 2014

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