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Furgone sulla folla a Barcellona: dai separatisti all’Isis, la mappa del terrore in Spagna

La Spagna è al livello quattro nella scala che misura l’allarme anti-terrorismo ma la storia del paese è costellata di attentati.
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A cura di Augusto Rubei
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Un altro attacco. Questa volta in Spagna. Un camion contro la folla, sulla Rambla, la via principale di Barcellona che collega Plaça de Catalunya con il porto antico. Poi una sparatoria, e i terroristi asserragliati. I media spagnoli parlano di 13 morti, ma il bilancio è provvisorio. La dinamica farebbe pensare ad una matrice simile agli attacchi di Berlino e Nizza.

C'è già un uomo arrestato, si tratterebbe di Driss Oukabir, di origine maghrebina con permesso di residenza in Spagna. Avrebbe noleggiato lui il furgone usato nell'attentato, ma non è detto che sia stato lui a compiere l'assalto. Forse è solo un intermediario, un prestanome, un complice. Che può aver agito insieme ad altri. Una self starter, negli ambienti di intelligence le chiamano così le cellule che si autofinanziano.

In Spagna ce ne sono diverse, principalmente ispirate al separatismo. Pensiamo all'Eta, nei Paesi Baschi. Anche loro usano i furgoni, ma sono furgoni bomba. E vengono lanciati contro obiettivi specifici, non contro chiunque com'è accaduto oggi a Barcellona. Ricordiamo Burgos 2009 e Getxo 2008.

L'attacco odierno invece rientra in una cornice ben definita e piuttosto nota. Armi low tech e obiettivi soft (luoghi di svago soprattutto: un hotel, una nave da crociera, una strada pubblica, appunto). Nel linguaggio jihadista significa basso impiego di risorse e massimizzazione del risultato. Se n'è parlato anche nelle riviste ufficiali del Califfato. L'Isis di recente ha invitato i sui combattenti ad agire in questa direzione. Forse un segno di debolezza del quartier generale di Raqqa, che non riesce più a erogare fondi diretti ai vari gruppi sparsi per il mondo.

Insomma, è assai difficile che ad attaccare siano stati i cosiddetti autonomisti. Inoltre non è propria abitudine asserragliarsi in un luogo chiuso, episodio già verificatosi in circostanze in cui era lo Stato Islamico ad essere coinvolto. Oppure al Qaeda. Basti pensare a Charlie Hebdo, a Parigi, a Bruxelles.

A memoria, l'ultimo attacco di matrice islamica verificatosi in Spagna è Madrid 2004. Poi ne sono stati sventati altri. Uno sempre a Barcellona, nel 2008. Ad agire una cellula dei talebani pakistani (Tehrik-i-Taliban Pakistan). Volevano colpire la metropolitana. Vennero arrestati prima, nel quartiere di Raval.

Andando a ritroso ricordiamo il bombardamento de El Descanso (1985), condotto dall'Islamic Jihad Organization, un gruppo salito alle cronache durante la guerra civile libanese. Cugini di al Qaeda. L'obiettivo in quel caso erano militari statunitensi.
Sono due i volti noti del terrore nati in Spagna: Hamed Abderrahman Ahmad, classe 1974, nato a Ceuta (dov'è operativa dal 2006 anche una cellula, la Nadim al Magrebi), catturato in Pakistan e detenuto a Guantanamo; Abu Dahdah, spagnolo di origine siriana condannato a 27 anni di carcere per il suo coinvolgimento negli attacchi dell'11 settembre 2001. Ce n'è poi un terzo, Mustafa bin Abd al-Qadir Setmariam Nasar, che ottiene la cittadinanza sposandosi con una spagnola. Viene accusato di aver guidato l'attacco a El Descanso. Dal 2004 vie e trasferito in carcere in Siria. Non è da escludere che con la guerra civile in corso sia tornato operativo.

La domanda che molti si pongono i queste ore è: quanto è presente l'Isis in Spagna? Parecchio. A fine giugno è stata fermata una cellula a Maiorca. Nel 2016 a San Sebastian è stato arrestato un allenatore di boxe marocchino sospettato di reclutare uomini per l'Isis. Nello stesso anno una minaccia video del Califfato: "Ricupereremo la nostra terra dagli invasori'. Nel 2015 l'attacco all'ambasciata spagnola a Tripoli, in Libia.

La Spagna è attualmente al livello quattro nella scala che misura l'allarme anti-terrorismo. Circa 15 dei 65 milioni di turisti stranieri che scelgono il Paese iberico sono britannici. E' un dato da non sottovalutare. Come non è da sottovalutare, tuttavia, anche la confusione semantica e sociologica che si fa di questi attacchi. Il presunto attentatore in questione, stando almeno alle prime indiscrezioni, era consueto violare ogni precetto della religione islamica. C'è una sottile, quanto netta differenza tra la religione e la continua ricerca di identità di numerosi giovani che spesso cadono in un'interpretazione distorta dell'Islam, un'interpretazione difficile da rompere con la sola forza delle braccia. In questo alcuni sceicchi del terrore, qaedisti o vicini all'Isis, sono stati maestri e lo sono ancora. L'ideologo Anwar al Awlaki ne è stato un esempio. Quando l'amministrazione Obama lo uccise in un raid nel 2011 lo esibì come un trofeo. Se invece non si fosse fermato a elogiarne la morte, bensì avesse compreso l'importanza di denunciarne le ricchezze guadagnate dallo sfruttamento della prostituzione, probabilmente ne avrebbe distrutto quell'immagine di purezza che molti giovani fedeli continuano a rincorrere. Nella speranza di riscoprire un proprio Io, un'identità che non hanno mai trovato. E che non gli è stata mai concessa.

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