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Freedom Flotilla 2: in viaggio verso Gaza nel ricordo di Vik

Tra pochi giorni la missione umanitaria Freedom Flotilla 2 salperà alla volta di Gaza. Eccitazione e timore caratterizzano gli attivisti che hanno deciso di far parte della flotta. Un solo imperativo: “restare umani”, come avrebbe voluto Vittorio Arrigoni.
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Si chiama Stefano Chiarini la nave italiana che prenderà parte alla Freedom Flotilla, la missione umanitaria diretta a Gaza, che quest'anno prevederà la presenza di 12 navi. Il nome scelto non è casuale: Stefano Chiarini era un giornalista de Il Manifesto, morto per un infarto nel 2007. Era una delle penne che meglio riusciva a raccontare cosa accedeva in Medio Oriente, in quei territori dove da anni i palestinesi combattono una lotta intestina che mira ad affrancarsi da Israele: la Palestina desidera vedere riconosciuta la propria identità in quanto popolo. La Freedom Flotilla parte per il secondo anno consecutivo, nonostante le contestazioni.

Contestazioni che nella passata edizione non rimasero ideologiche; gli israeliani passarono ai fatti e la Flotilla 1 subì il fuoco della Marina israeliana che ferì a morte ben 9 persone. Su una delle navi che prese parte alla Flotilla c'era anche Vittorio Arrigoni, l'indimenticato attivista dell’International Solidarity Movement, ucciso da un commando di salafiti lo scorso 14 aprile. Chi salpa alla volta di Gaza,navigando attraverso acque internazionali e palestinesi  e senza  mai sconfinare nei territori israeliani, ha a cuore le sorti del popolo palestinese, così come Vittorio, che a Gaza viveva da tre anni. Conosceva bene i territori della Striscia, luoghi in cui si consumano violenze "silenziose", in cui la dignità cede il passo alla bestialità di una libertà negata. Una condizione che "Vik" ha voluto testimoniare dalle colonne de Il Manifesto, così come attraverso il suo blog Guerrilla Radio.

Quest'anno sulla nave italiana diretta a Gaza saranno molti a salire, e non mancano i volti e  nomi noti: i sentimenti che accompagnano chi decide di salpare verso i territori sono ambivalenti, com'è comprensibile che sia, visti i rischi. Da un lato la solidarietà, dall'altro la paura, l'apprensione per la propria incolumità. E' quasi certo, o almeno è nelle previsioni degli attivisti, che ancora una volta Israele risponderà col fuoco alle 12 navi che tenteranno di portare aiuti umanitari ai palestinesi. E allora perché, nonostante tutto, vale la pena rischiare? Chi non ci è dentro, come me, non riesce con sufficiente vividezza a trasmettere con quale predisposizione d'animo si parta. Per questo, mi pare opportuno riprendere le parole di Vauro Senesi, anche lui sulla Stefano Chiarini quest'anno, nei confronti della missione e del comandante della Marina israeliana Eliezer Marom:

Io sarò su una di quelle navi ed allora mi perdonerà se prima di essere respinto o arrestato dai suoi soldati mi permetto di dirle poche e semplici cose a proposito di alcune sue affermazioni. Lei dice che non saremmo spinti da motivi umanitari ma da «odio verso Israele». Dovrebbe vedere i volti delle ragazze e dei ragazzi che stanno per imbarcarsi. Ci troverebbe sorrisi, sguardi di speranza, a volte l’ingenuità di chi ancora crede che valga la pena spendersi per gli altri. […]Le voglio dire una cosa che forse alimenterà il suo orgoglio marziale: sui volti di quelle ragazze e ragazzi e anche sul mio che ragazzo non sono più da tempo, potrebbe leggere anche la paura. Sì, mi, ci fate paura. Ci fanno paura i suoi commandos armati e le sue navi da guerra, ci fa paura il momento in cui le incroceremo. Ed è proprio questa paura che ci dà un motivo in più per salpare, perché ci avvicina, anche se in misura ridotta, a quella che sono condannati a provare quotidianamente gli uomini, i bambini, le donne di Gaza quando dal cielo piovono missili e bombe al fosforo e quando la sola speranza di una vita degna di essere vissuta si trasforma per loro in disperazione e rabbia.

“ E' proprio questa paura che ci dà un motivo in più per salpare, perché ci avvicina a quella che sono condannati a provare quotidianamente gli uomini, i bambini, le donne di Gaza. ”
Vauro Senesi

Quello delle Freedom Flotilla è uno scopo nobile, e questo dovrebbe essere noto a tutti, e specialmente ai Governi dei paesi che, nella "migliore" delle ipotesi, la contrastano. Migliore, perché nei casi peggiori Freedom Flotilla è taciuta, oppure considerata una costola di Hamas. E' quanto ha sostenuto, ad oltranza, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Daniela Santanché durante una puntata di Annozero.  Gaffes clamorose a parte, occorre ricordare che la missione umanitaria non trova l'appoggio dei Governi occidentali, tra cui gli Usa, la Francia e dulcis in fundo l'Italia. In primis, il premier Berlusconi ha fatto sapere che non appoggiava le manifestazioni come quella della Flotilla, che ricordiamo persegue fini pacifici e di solidarietà: secondo la personale visione del  Premier, 12 navi in soccorso di un popolo che quotidianamente deve fare i conti con le violenze israeliane possono ostacolare il "naturale Processo di pace". Un NO che è arrivato anche dalla Farnesina, così ha commentato la missione Frattini: "Il modo migliore per portare assistenza agli abitanti di Gaza è quello di inviare gli aiuti umanitari attraverso gli appositi valichi terrestri, evitando ogni tipo di provocazione che possa avere come unico effetto l’aumento della tensione". Sul fronte internazionale anche la Clinton avversa la Freedom Flotilla che giudica una "provocazione per far reagire gli israeliani e non né necessaria né utile".

In merito alle accuse, gli attivisti che salperanno da Atene (è questa la base della missione quest'anno) hanno deciso di non restare in silenzio, rispondendo attraverso il sito della FF2. Rivendicano il rispetto del diritto internazionale umanitario per i fratelli palestinesi, continuamente costretti ai soprusi di Israele. Quanto all'idea del Ministro di utilizzare i "valichi terrestri" così risponde il coordinamento italiano per la Flotilla 2: "gli abitanti di Gaza hanno il diritto alla dignità e non all’elemosina e all’umiliazione di vedere gli aiuti di chi li sostiene passare solo se filtrati dall’arbitrio israeliano."

Vittorio Arrigoni ha sacrificato la sua vita per il principio nel quale ha creduto nei suoi anni di permanenza a Gaza; un principio che per i palestinesi è un diritto, il fine ultimo da raggiungere. Vik diceva "Restiamo umani", intendendo per umanità in primis la libertà, la libertà dall'ira, dal desiderio di rivalsa. Vittorio Utopia Arrigoni credeva nella libertà che consenta l'espressione di sé, come il diritto di un popolo che ha la facoltà di vivere nella sua patria, senza oppressioni e violenze. Per questo e per molte altre ragioni, con il ricordo di Vittorio nel cuore, Freedom Flotilla 2 è pronta a partire.

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