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Opinioni

Fisco italiano: renderlo meno iniquo e opprimente è possibile

Estate, per molti è tempo di vacanza. Ma l’appuntamento con la prossima Legge di Stabilità si avvicina ed è dunque il tempo di esaminare una proposta di riduzione e semplificazione del fisco italiano che meriterebbe di essere sostenuta con decisione, producendo effetti benefici per il 95% dei contribuenti italiani e non solo…
A cura di Luca Spoldi
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Quante volte avete avuto la sensazione che il fisco italiano oltre che oppressivo sia anche “lievemente” iniquo? Secondo un’analisi di Nicola Borri, Salvatore Nisticò, Giuseppe Ragusa e Pietro Reichlin forse tutti i torti non li avete; in compenso non sarebbe così difficile né eccessivamente costoso rendere se non meno oppressivo certamente meno iniquo il sistema fiscale italiano, modificando l'Irpef ed ottenendo come ulteriore beneficio un incentivo all’emersione dal “nero” e una maggiore partecipazione alla forza lavoro, cosa che comporterebbe una riduzione della percentuale di disoccupazione e una maggiore base imponibile (e scusate se è poco).

Perché il sistema fiscale italiano appare così iniquo (e inefficiente)? Perché anche se formalmente esistono cinque aliquote marginali (del 23%, 27%, 38%, 41% e 43%), di fatto l’attuale sistema di detrazioni fiscali fa sì che le aliquote marginali sino di fatto solo tre: il 30% tra 8 mila (sotto tale livello esiste una “no-tax area”) e 28 mila euro, il 41% tra 28 mila e 75 mila euro, il 43% oltre tale livello. Con questa struttura chi percepisce redditi tra 8 mila e 15 mila euro (area in cui cade il 20% dei contribuenti italiani) di fatto non ha incentivi a dichiarare il reddito eccedente gli 8 mila euro e, se può, preferisce lavorare “in nero”.

In Germania, paese cui il Sud Europa dovrebbe, in teoria,virtuosamente” guardare, per evitare distorsioni ha un sistema di aliquote nominali crescenti tra un minimo del 14,28% (fino a 8.355 euro) e un massimo del 42% (oltre i 52.882 euro), con una aliquota “extra” (45%) solo per redditi sopra i 250 mila euro annui. La proposta di Borri, Nisticò, Ragusa e Reichlin non è tuttavia quella di copiare semplicemente il sistema tedesco (a cui pure, scommetto, aderirebbe con piacere la maggior parte dei contribuenti italiani), ma di semplificare il sistema di detrazioni fiscali italiane.

Si tratterebbe, a fronte del mantenimento della “no tax area di 8 mila euro, di sostituire le attuali detrazioni con una detrazione fisssa di 1.840 euro per i soli redditi imponibili tra 8 mila e 15 mila euro. Oltre questa soglia, le detrazioni dovrebbero ridursi linearmente, fino ad azzerarsi per i redditi superiori ai 55 mila euro. In questo modo il prelievo sui soli redditi tra 8 mila e 15 mila euro imponibili calerebbe dal 30% al 23% effettivo, restando le altre aliquote sostanzialmente allineate ai valori effettivi attuali. Di conseguenza l’aliquota media tra 8 mila e 55 mila euro calerebbe, con un beneficio (in termini di minore pressione fiscale) per il 95% dei contribuenti italiani.

Sì, ma le coperture, si dirà? Giusto: la riforma proposta non è a costo zero. Ma quasi, visto che costerebbe “solo” 5 miliardi di euro l’anno. In alternativa, se tale cifra (che corrisponde, ricordiamo, all’attuale prelievo dell’Imu sulla prima casa, la cui eliminazione, ventilata dal governo, gioverebbe solo a quell’80% di italiani possessori di almeno un immobile, spesso anziani) dovesse risultare troppo difficile da reperire, si potrebbe “limitarsi” a limare dal 38% al 35% l’aliquota fiscale per i redditi sopra i 28 mila euro. Costo: 2 miliardi. Certo, l’ideale sarebbe poter sommare entrambe le riforme, cosa che tuttavia comporterebbe un costo di 7 miliardi di euro l’anno.

Solo a me viene in mente che attualmente il “bonus 80 euro costa poco meno di 10 euro l’anno, è diretto alla stessa platea di beneficiari (lavoratori dipendenti a basso reddito) ma non è detto, con buona pace delle ottimistiche dichiarazioni del governo in tal senso, che si possa considerare “strutturale”, dovendosi trovare ogni anno coperture per il rinnovo di tale misura, e in più non produce alcuno stimolo nei confronti dell’emersione del lavoro “in nero”? Certamente no eppure di rivedere in senso più equo ed efficiente (e favorevole a una riduzione, questa sì strutturale, del nero) il governo non ne parla, per lo meno non ancora.

Possiamo sperare che i famosi, e per la verità finora piuttosto “fumosi”, tagli della spesa pubblica possano generare 2 miliardi, o 5 miliardi o addirittura 7 miliardi di euro che possano essere destinati alla proposta di semplificazione e rimodulazione delle aliquote fiscali italiane, così da rendere più progressivo e pertanto più equo, senza penalizzazioni per alcuno, il fisco tricolore? La speranza è l’ultima a morire, dicono, ma forse andrebbe sostenuta con maggiore convinzione da qualche forza politica, di maggioranza o opposizione che fosse.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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