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“Figli delle baraccopoli”: in Italia 20mila minori rom senza scuola e a rischio malattie

La situazione di assoluta povertà e marginalità vissuta da questi bambini e ragazzini è stata denunciata dall’Associazione 21 luglio. Per questi minori l’aspettativa di vita media è di circa dieci anni in meno rispetto al resto della popolazione. Anche la possibilità di studiare è seriamente compromessa.
A cura di Claudia Torrisi
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Campo Rom

In Italia ci sono ventimila minori rom che vivono in baraccopoli e campi formali e informali, esposti a malattie e a una forte esclusione sociale. La situazione di assoluta povertà e marginalità vissuta da questi bambini e ragazzini è stata denunciata dall'Associazione 21 luglio, nel rapporto "Uscire per sognare. L'infanzia rom in emergenza abitativa nella città di Roma", dedicato ai "figli delle baraccopoli".

Per questi minori l'aspettativa di vita media è di circa dieci anni in meno rispetto al resto della popolazione: dalla nascita sono esposti al rischio di malnutrizione e alla possibilità di contrarre malattie infettive, come la scabbia o la tubercolosi, infezioni virali, micotiche e veneree. Ma la vita nelle baracche ha anche altri rischi, come quello di incorrere nelle cosiddette "patologie da ghetto": ansia, depressione, consumo di alcool e stupefacenti, soprattutto per gli adolescenti.

Anche la possibilità di studiare è seriamente compromessa. L’accesso all’istruzione, a partire dalla scuola dell’infanzia, è per questi minori limitato e incostante. Nonostante nell’articolo 28 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza l’istruzione primaria gratuita sia riconosciuta come un diritto fondamentale di tutti i bambini, in Italia un minore su cinque che vive in un insediamento formale o infomarle non inizierà mai un percorso scolastico. Solo nell'1% dei casi i "figli delle baraccopoli" avranno la possibilità di frequentare le scuole superiori; mentre sono zero le probabilità di accedere ad un percorso universitario. A questa situazione contribuiscono i frequenti sgomberi forzati, che interrompono i percorsi scolastici dei bambini rom, acuendo la precarietà delle loro condizioni di vita. Sono interruzioni brusche, spesso irrimediabili.

Secondo le stime dell'Associazione 21 luglio, nel solo 2015 a Roma gli sgomberi forzati sono stati ottanta, coinvolgendo 1.470 persone di cui 810 minori. Nella Capitale il numero di bambini e ragazzini rom che vivono in condizioni di povertà è di 4100: 1350 hanno tra gli 0 e i 6 anni, 2750 tra i 7 e i 18. La loro vita, si legge nel rapporto dell'Associazione 21 luglio, "è segnata dall'esclusione sociale, dallo scarso accesso ai servizi sanitari e dalla stigmatizzazione da parte della società maggioritaria. Ognuno di questi bambini, diventato adulto, avrà sette possibilità su dieci di essere discriminato a causa della propria etnia". Il punto è che, nonostante l’Italia abbia ratificato nel 1991 la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata nel 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fino ad oggi non esistono politiche nazionali che siano in grado di rispondere a questa situazione.

Quello che serve sono "percorsi inclusivi di uscita e di superamento delle baraccopoli", poiché la "questione abitativa è "alla radice del disagio": "Finché questi minori cresceranno tra cumuli di rifiuti in condizioni igienico-sanitarie allarmanti, nelle periferie estreme delle città e lontani dai servizi, privati degli spazi idonei per lo studio e per il gioco, sarà impossibile costruire per loro un nuovo futuro fondato sui diritti e su una piena cittadinanza", conclude il rapporto.

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