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Esami medici e visite specialistiche: pagheremo caro, pagheremo tutto?

Ma è vero che potremmo dover pagare ogni esame o visita specialistica? È vero che i medici non potranno più prescrivere analisi per diagnosticare malattie? È vero che i medici non prescriveranno più verifiche e controlli per paura di incappare in sanzioni? In linea di massima no. Anche se qualcosa cambierà.
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Sono ormai diversi anni che la sanità è al centro di praticamente tutte le manovre di contenimento della spesa pubblica, pur necessarie per assicurare il rispetto degli impegni comunitari, e probabilmente anche per il futuro la situazione non cambierà di molto”. Argomentava così la nota della Corte dei Conti relativa al Rendiconto Generale dello Stato del 2014, sottolineando il canovaccio degli interventi di riduzione della spesa pubblica italiana e avvertendo: “Sarà bene, però, che si faccia anche una più complessiva ed attenta riflessione sulle possibili conseguenze negative che una eccessiva contrazione delle risorse potrà avere sul funzionamento del sistema e sull’adeguato mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, essendo giunto il momento di chiedersi fino a che punto il settore sarà in grado di sostenere ulteriori contrazioni contabili. Una visione esclusivamente contabilistica del settore rischia, cioè, di entrare in rotta di collisione con le finalità proprie del sistema, producendo talvolta anche contenziosi giudiziari”.

Parole che, lette alla luce della polemica sui “tagli alla Sanità” contenuti nel Decreto Enti Locali, acquistano una rilevanza ancora maggiore e ci inducono a riflettere sulle scelte politiche del Governo Renzi, che si appresta a varare la legge di stabilità 2016. Occorre essere obiettivi, depurando i fatti dalla propaganda e chiarendo che il taglio dei fondi è chiaro e netto: la riduzione del livello complessivo del finanziamento del Servizio sanitario nazionale è pari a 2.352 milioni di euro annui, a decorrere dal 2015 e fino al 2017. Insomma, il dl Enti Locali (in parziale attuazione del patto per la Salute sottoscritto dalle Regioni) prevede un risparmio per le casse dello Stato di circa 7 miliardi di euro in 3 anni.

Perché la Lorenzin e Renzi negano che si tratti di tagli? La cifra a cui fa riferimento il Governo è quella della spesa sanitaria complessiva, che da anni è stabile intorno ai 111 miliardi di euro, circa il 7% del Pil, con una quota per abitante di circa 1820 euro (i dati sono quelli del DEF). L'obiettivo resta quello di portare la spesa sanitaria al 6,5% del Pil entro il 2019, anche se nella considerazione di un progressivo aumento "netto" di spesa.

Per il triennio in esame il Governo dà alle Regioni la possibilità di adottare una serie di misure alternative per recuperare le risorse tagliate dallo Stato, tra cui: ridiscutere i contratti con i fornitori di beni e servizi, in modo da ottenere risparmi fino al 5% della spesa, ridurre in via permanente l’ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale, rivedere i tetti di spesa per le convenzioni, risparmiare su esami e visite specialistiche.

E modifica il meccanismo di prescrizione di visite specialistiche ambulatoriali ed esami clinici allo scopo di ridurre i costi e ottimizzare il servizio. Sul punto si è scatenato l’ormai tradizionale processo di “sloganizzazione” e ci si è trovati catapultati nella dicotomia “si pagherà tutto / non è vero niente” o in quella “sanità pubblica smantellata / lotta agli sprechi”. La realtà è, come sempre, più complessa.

Cosa cambia per esami, visite specialistiche e controlli medici

Cominciamo col dire che è infondato l'allarmismo sulla "fine della sanità pubblica", che sono false le ricostruzioni in base alle quali i cittadini non potranno più fare esami per diagnosticare eventuali malattie, che è una bufala quella delle visite specialistiche riservate ai ricchi, che è ingiustificato ipotizzare che i medici non prescriveranno più esami per non dover pagare di tasca propria. E che nulla cambierà per quel che concerne il pronto soccorso e le altre prestazioni sanitarie.

La Lorenzin stessa ha provato ad essere più chiara possibile: “Queste 208 prestazioni su 1700 si possono fare tutte! Quando il medico ritiene necessario dovertela fare, te la fa, non c’è un taglio di prestazioni”. E allora? L'allarmismo è ingiustificato? Sì e no. Vediamo perché.

Il ministero della Sanità ha diffuso una prima bozza del documento con il quale individua le “condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione di visite specialistiche ambulatoriali ed esami clinici”. In pratica si definisce in maniera più rigorosa quali sono gli esami e le visite che lo Stato “passa”, ovvero eroga ai pazienti dietro il pagamento del solo ticket (se previsto). Va detto che, leggendo la bozza del documento, si capisce come sia lasciata in ogni caso ampia discrezionalità ai medici, che possono sempre prescrivere esami in considerazione dei rischi di “vulnerabilità sanitaria o sociale”, nel caso di “modifiche” agli stili di vita o per particolari esigenze diagnostiche.

Cosa si pagherà, quindi? Si pagheranno gli esami che il medico non riterrà di prescrivere, per dirla in maniera diretta. Se un paziente volesse comunque fare un esame di laboratorio o una visita specialistica, malgrado non rientri nelle condizioni di erogabilità o appropriatezza prescrittiva, allora dovrà pagare interamente il prezzo dell’esame.

Facciamo qualche esempio. È vero che l’estrazione di un dente non sarà più erogata dal servizio sanitario? No. Il medico potrà prescrivere sempre l’intervento per i bambini fino a 14 anni, ma anche in particolari condizioni di vulnerabilità sanitaria o sociale. Cosa significa? Lo spiega lo stesso ministero della Salute:

La vulnerabilità sociale

Le condizioni di svantaggio economico vengono individuate dalle Regioni, in alcuni casi, attraverso il solo reddito ai fini IRPEF riferito al nucleo familiare, in altri, attraverso l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), che prende in considerazione oltre al reddito anche i patrimoni mobiliari e immobiliari del nucleo.

In particolare, l’Emilia-Romagna, il Molise ed il Veneto definiscono valori ISEE che determinano condizioni di vulnerabilità sociale, mentre altre regioni come ad esempio l’Umbria, la Puglia, la Toscana fissano limiti di reddito del nucleo familiare al di sotto del quale si ha diritto alle prestazioni.

La Lombardia più semplicemente individua nelle condizioni di vulnerabilità sociale alcune categorie sociali che possono usufruire della assistenza odontoiatrica a prescindere dalla patologie, ponendo limiti di reddito del nucleo familiare solo per i titolari di pensione ed i trapiantati d’organo.

La vulnerabilità sanitaria

Per definire le condizioni di vulnerabilità sanitaria, vale a dire le malattie o le condizioni per le quali sono necessarie cure odontoiatriche, possono essere adottati due differenti criteri:

il primo criterio (criterio “ascendente”) prende in considerazione le malattie e le condizioni alle quali sono frequentemente o sempre associate complicanze di natura odontoiatrica (ad esempio: labiopalatoschisi e altre malformazioni congenite, alcune malattie rare, tossicodipendenza, ecc.)
il secondo criterio (criterio “discendente”) prende in considerazione le malattie e le condizioni nelle quali le condizioni di salute potrebbero risultare aggravate o pregiudicate da patologie odontoiatriche concomitanti (pazienti in attesa di trapianto e post- trapianto, pazienti con stati di immunodeficienza grave, ecc.)

Un altro esempio, che può aiutare a chiarire la situazione: le analisi per colesterolo o trigliceridi. Con la nuova normativa il medico potrà comunque prescrivere gli esami “come screening in tutti i soggetti con età superiore ai 40 anni”, ma anche per quelli con fattori di rischio cardiovascolare o familiarità per displipidemia o eventi cardiovascolari precoci. Insomma, nulla vieta al medico di prescrivere tali esami per accertarsi delle condizioni fisiche di un paziente.

Ma è vero che una volta fatto l’esame non posso più ripeterlo per anni? Sì e no. Nel senso che la norma prescrive che “in assenza di valori elevati” l’esame non si possa ripetere prima di 5 anni. Ma, attenzione, sempre che nel frattempo non siano intervenute “modifiche dello stile di vita o interventi terapeutici”: insomma, tecnicamente il medico ha tutti i mezzi e la discrezionalità per continuare a prescrivere analisi, ove necessario.

Invece, nel caso in cui si accertasse che il medico curante abbia prescritto esami non necessari, ovvero abbia violato l’applicazione delle nuove normative (condizioni di erogabilità o appropriatezza prescrittiva), si prevede l’applicazione di “penalizzazioni su alcune componenti retributive del trattamento economico spettante ai medici”. In pratica: i medici che sbagliano, pagheranno di tasca loro (pare dal salario accessorio, ma ancora non è chiarissimo come e per il momento la Lorenzin si è detta "disponibile a modifiche").

Contro il rischio di avere medici sempre più timorosi di prescrivere esami per paura di non incappare nelle penalizzazioni, poi, il Governo si appresterebbe a varare norme severe contro le liti temerarie, in modo da scoraggiare i pazienti a fare causa ai medici per negligenza.

Tutto bene, dunque? No, ovviamente. E alcune delle criticità le riassume bene Marcello Esposito su Linkiesta:

La lotta alle prescrizioni inutili non si fa con un meccanismo sanzionatorio per i medici […] Ad esempio: se l’obiettivo è ridurre la spesa per esami, vuol dire che i pazienti dovranno rinunciare o, altrimenti, pagare di tasca propria. E se la domanda di cosiddetti esami “inutili” fosse equamente distribuita per fasce di reddito, ne soffrirebbero maggiormente i più poveri. Ma, visto che le condizioni di salute dei più poveri sono peggiori di quelle dei più ricchi, l’effetto è addirittura maggiore e, per di più, destinato ad ampliarsi nel tempo. La riduzione della medicina preventiva da parte dei poveri “giovani” aumenterà il rischio di malattie con l’avanzare dell’età.

[…] Visto che la stretta sugli esami “inutili” rischia di provocare valanghe di cause e che il timore di essere portati davanti ad un giudice è più forte della sanzione pecuniaria del ministero, il governo sta valutando l’opportunità di proteggere medici e strutture ospedaliere invertendo l’onere della prova. Toccherebbe quindi al paziente, in barba a precise sentenze della Corte Costituzionale, provare la colpa del medico. Ma in quale democrazia liberale l’onere della prova grava sulla parte debole?

Ovviamente restano le perplessità di carattere "politico", o anche culturale. Ovvero quelle sul senso di un provvedimento di questo tipo che mira al recupero di 2-300 milioni di euro, a fronte delle tante lacune del sistema sanitario italiano e, appunto, della tendenza al taglio dei trasferimenti e alla riduzione degli investimenti. Peraltro si tratta di una scelta che mina il rapporto fra medico e paziente, subordinandolo a logiche "altre", come il contenimento dei costi, e forzando dinamiche che dovrebbero essere basate su competenza e misura da una parte, fiducia e rispetto dall'altra. Ma questo Renzi lo ha capito, tanto da dirsi "pronto a discutere". Cosa significhi esattamente, lo capiremo nelle prossime settimane.

Qui l'elenco completo dei 208 esami di laboratorio e visite specialistiche "a rischio"

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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