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ERF (European Redemption Fund) e MES (Meccanismo Europeo di Stabilità)

Il funzionamento dell’attuale MES (Meccanismo Europeo di Stabilità o altrimenti detto Fondo salva-Stati) e il funzionamento del futuro ERF (European Redemption Fund, ossia Fondo Europeo di Redenzione).
A cura di Redazione Diritto
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Questo articolo è a cura dell’Avvocato Giuseppe Palma del Foro  di Brindisi. Appassionato di storia e di diritto, ha sinora  pubblicato  numerose  opere di saggistica a carattere storico – giuridico. 

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ERF (European Redemption Fund) e MES (Meccanismo Europeo di Stabilità)

Nell’aprile di quest’anno ho scritto e pubblicato un breve articolo [1] attraverso il quale ho svolto alcune argomentazioni in merito alle principali conseguenze economico-sociali cui conduce (o, meglio, condurrà) il Fiscal Compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria).

Ciò detto, se si considera che l’apparato eurocratico vuole introdurre un ulteriore meccanismo denominato ERF (European Redemption Fund, ossia Fondo Europeo di Redenzione), la situazione dell’Eurozona si fa ancora più preoccupante. Tale nuovo meccanismo, ben peggiore sia del Fiscal Compact che del MES (quest’ultimo lo vedremo più avanti), prevede che ciascuno Stato dell’Eurozona faccia confluire la parte eccedente il 60% del proprio rapporto debito pubblico/PIL in un apposito fondo, l’ERF.

In pratica, leggendola così, sembrerebbe una mano dal cielo (infatti l’Italia si vedrebbe liberata del 73% del proprio rapporto debito pubblico/PIL), ma l’inganno è dietro l’angolo.

Per quali motivi filantropici qualcuno dovrebbe garantire debiti pubblici altrui?

E soprattutto, come farebbe l’ERF a garantire cifre così alte?

Attraverso un intervento della BCE? Macché! Sarà sempre il popolo a pagare, e cerco di spiegare in che modo: ciascuno Stato dovrebbe garantire la propria parte di debito versata nel Fondo sia attraverso i propri asset pubblici sia tramite una percentuale di tasse riscosse a livello nazionale.

Tale Fondo, successivamente, emetterebbe bonds europei a scadenza ventennale, massimo 25 anni. In questo lasso di tempo tutti gli Stati aderenti avrebbero comunque l’obbligo di ridurre il proprio rapporto debito pubblico/PIL al 60%, quindi – usando una terminologia più semplice – ciascuno Stato, nell’arco di 20-25 anni, dovrebbe restituire al Fondo quanto in precedenza dal Fondo stesso garantito (si fa per dire, visto che le garanzie sarebbero comunque fornite dagli Stati stessi sia attraverso i propri “gioielli di famiglia” che tramite una parte delle tasse prelevate ai cittadini).

Quindi, qualora non fosse ancora chiaro il meccanismo dell’ERF, cercherò di essere più esplicito: l’Italia (ma anche altri Paesi soprattutto del sud Europa) si troverebbe costretta non solo a dare in pegno il proprio tesoro pubblico, ma addirittura a far confluire in questo Fondo comune una parte degli introiti derivanti dalla tassazione, con la conseguenza che – nell’ipotesi in cui non riuscissimo a ridurre il nostro rapporto debito pubblico/PIL in 20-25 anni dall’attuale 133% al 60%, ecco che l’ERF (ma in realtà chi ha deciso di acquistarci a prezzi stracciati) potrà prendersi gratuitamente i nostri pezzi migliori, dopo che magari si è già preso anche una parte consistente delle tasse che i cittadini hanno faticosamente pagato non per ricevere in cambio un servizio ma per compiacere, e garantire, gli interessi della nuova dittatura europea.

Per quanto riguarda il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità o altrimenti detto Fondo salva-Stati), esso nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro e fu istituito nel marzo 2011 dalle modifiche al Trattato di Lisbona. La sua entrata in vigore, prevista inizialmente per la metà del 2013, fu anticipata dal Consiglio Europeo del 9 dicembre 2011 al luglio 2012.

Il fondo è stato creato sia per emettere prestiti sia per acquistare titoli sul mercato primario (tuttavia è prevista la possibilità di acquistare titoli anche sul mercato secondario) in favore dei Paesi che si trovino in maggiori difficoltà, con il fine di assicurare loro assistenza finanziaria. Il tutto a condizioni severissime tali da esautorare quasi del tutto la sovranità degli Stati che ne facessero richiesta. In pratica un pesantissimo strumento di “strozzinaggio” legalizzato.

Tale meccanismo chiede agli Stati membri di versare un anticipo complessivo di 80 miliardi di euro, partecipandovi ciascuno in base alla propria quota parte. La nostra è del 17,91% e quindi l’anticipo richiesto, da saldare in cinque tranche, è di ben 14,32 miliardi. Tuttavia, con grande velocità (che non viene altrimenti utilizzata per pagare i debiti della Pubblica Amministrazione) l’Italia ne ha già pagati 10.

Il MES ha un capitale autorizzato di 700 miliardi di euro di cui solo 80 sono versati – a titolo di anticipo – dagli Stati membri: i rimanenti 620 miliardi saranno raccolti (se necessario) attraverso apposite emissioni di obbligazioni sul mercato. A tal proposito, ed è bene ricordarlo, l’Italia partecipa al MES con una sottoscrizione di capitale pari ad euro 125.395.900.000,00. Il Trattato istitutivo del MES prevedeva che il pagamento dell’anticipo del capitale (per noi 14,32 miliardi di euro) sarebbe dovuto avvenire in 5 rate annuali, ma l'eurogruppo – nella riunione del 30 marzo 2012 – decise che il pagamento deve essere completato entro la metà del 2014.

Ricorda il lettore la semi-finale del Campionato Europeo di calcio 2012 tra Italia e Germania? Bene, si ricorderà quindi anche i titoloni dei principali quotidiani nazionali e gli elogi che non si risparmiavano nei più accreditati talk-show televisivi per i due “super-Mario” nazionali, ossia Mario Balotelli per aver segnato due goal alla Germania e Mario Monti, all’epoca Presidente del Consiglio dei Ministri, per aver “ottenuto” al tavolo europeo che i fondi salva-Stati (e più nello specifico proprio il MES che andava a regime a luglio 2012 con una dotazione di 500 miliardi di euro) venissero utilizzati per ricapitalizzare le banche spagnole, inguaiate dallo scoppio della bolla immobiliare, e per sostenere i titoli di Stato sia italiani che spagnoli.

Peccato che in troppi si dimenticarono di evidenziare che l’allora nostro Presidente del Consiglio aveva promesso misure per la riduzione degli spread correnti, mentre riuscì ad ottenere soltanto che gli interventi si sarebbero potuti attivare solo in caso di peggioramento; inoltre, in parecchi omisero di dire anche che la procedura era (ed è) attivabile solo su richiesta dello Stato che ne avesse (ne abbia) eventualmente bisogno e non in modo automatico, quindi sarebbe stato (ed è) in ogni caso necessario sottostare a cosiddetti “memorandum d’intesa”.

Non è un caso, infatti, che l’Italia – nonostante avesse in quel periodo uno spread traballante al rialzo – sia sempre stata lontana dal farne richiesta, tant’è che il differenziale tra BTP e BUND si è ugualmente ridotto, e non di certo grazie al tavolo europeo dell’estate 2012. Ciò premesso, al fine di smascherare l’imbroglio dello spread, voglio ricordare che il differenziale tra il rendimento dei nostri BTP e il rendimento dei BUND tedeschi (che ha messo sotto ricatto il nostro Paese a partire dal giugno 2011), si forma esclusivamente sul mercato secondario, quindi in relazione a quei titoli di Stato già in circolazione (cioè transazioni tra privati che non influiscono direttamente sulla finanza pubblica) e non a quelli oggetto delle aste mensili indette dal Tesoro (mercato primario); con l’importantissima precisazione che il MES è stato creato per acquistare soprattutto titoli sul mercato primario (pur prevedendo la facoltà di acquistare titoli sul mercato secondario). E’ bene ricordare che i costi che lo Stato sostiene per il servizio del debito sono quantificati unicamente dalle aste mensili indette dal Tesoro (mercato primario), quindi tutta la vicenda legata allo spread meritava sicuramente un approfondimento scientifico più ampio e, sicuramente, più oggettivo!

Avv. Giuseppe Palma del foro di Brindisi


[1] Giuseppe Palma, Il Fiscal Compact. Forse non tutti sanno che…, Rivista giuridica elettronica denominata “Diritto & Diritti” – sezione Diritto Internazionale –, articolo pubblicato il 10 aprile 2014 e reperibile sul sito internet: http://liberalizzazioni.diritto.it/docs/36145-il-fiscal-compact-forse-non-tutti-sanno-che

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