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Opinioni

Eni, sciopero in tutta Italia. Ma il copione è già scritto

Sciopero in tutta Italia per i dipendenti Eni. A rischio gli investimenti e lo stabilimento di Gela, dove manifestano in 20mila. Ma i sindacati arrivano tardi. Perché questi stabilimenti sono morti nel 2010.
A cura di Michele Azzu
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Riccardo Squillantini / La Presse
Riccardo Squillantini / La Presse

“Il cane a sei zampe non può lasciare l’Italia”, scrivono Cgil, Cisl e Uil nel comunicato unitario. L’annuncio sembra venire da un’altra epoca, da uno slogan rubato gli anni ’60, quando sui distributori di benzina c’era scritto Agip anziché Eni. È solo il primo segno che su questa battaglia, i sindacati, arrivano fuori tempo massimo.

Lo scontro sul lavoro, questa volta, vede i sindacati contro l’Eni. Da questa mattina, infatti, è in atto uno sciopero generale unitario in tutti gli stabilimenti del gruppo Eni in Italia, dalle raffinerie agli impianti chimici rimasti, dai depositi agli uffici amministrativi. “Oltre 30.000 i lavoratori interessati dall'astensione dal lavoro”, riportano i sindacalisti.

Dalle ore 15.00, invece, è previsto un presidio a Roma davanti Montecitorio. Il motivo è semplice: l’Eni è per il 33% del ministero del Tesoro, quindi pubblica. E si chiede al governo, in questo caso a Matteo Renzi, di intervenire in nome di quel 33% del pacchetto azionario.

La ragione della mobilitazione sindacale? La possibilità della chiusura di tre raffinerie, più: “La drammatica situazione di Gela”, in Sicilia, dove sono stati revocati 700 milioni di investimenti. Qui lo scorso 28 luglio hanno manifestato in ventimila per le strade del paese. “Gela rappresenta circa il 7% del Pil della nostra regione”, ha commentato il presidente siciliano Rosario Crocetta. E il rischio è una seconda Termini Imerese: impianti fermi, nessuna riconversione, dipendenti a spasso.

A Gela c’era anche Susanna Camusso, segretario nazionale della Cgil. In testa al corteo, a reggere uno striscione: “Non esiste un'idea di ripresa in questo Paese se non si parte dal lavoro”, ha commentato. Lo stabilimento Eni siciliano occupa 3.500 persone, appalti compresi. Ma anche a Taranto c’è da preoccuparsi, con 1.200 dipendenti coinvolti.

Non è la prima volta che il leader del sindacato rosso fa affermazioni di questo genere, in riferimento all’Eni. Il 18 aprile 2010 Susanna Camusso era vicesegretario Cgil, quando alla guida c’era ancora Guglielmo Epifani. In visita agli operai della Vinyls che occupavano il carcere abbandonato dell’Asinara (e che poi rimasero sull’isola per 500 giorni) affermò: “Se dovesse sfumare l’accordo tra Ramco ed Eni per la cessione degli stabilimenti ex Vinyls Italia, la Cgil è pronta alla mobilitazione nazionale sotto il Ministero dello Sviluppo economico”. Promessa poi disattesa. “L’Eni o si impegna direttamente nel rilancio del settore o dovrà smetterla di ostacolare la cessione degli impianti”, disse allora Camusso.

La Vinyls Italia, che comprendeva gli stabilimenti chimici una volta proprietà dell’Eni a Porto Torres, Ravenna e Porto Marghera, venne poi abbandonata da tutti: sindacati e politici che nei mesi di notorietà mediatica della vertenza avevano promesso mari e monti. Un anno fa Vinyls è fallita, e gli operai sono ancora in cassa integrazione.

Tante promesse non mantenute, tante prese in giro istituzionali… e adesso abbiamo ricevuto la lettera di licenziamento collettivo”, dice Alessandro Gabanotto, cassintegrato di Porto Marghera. “L'annuncio shock dell'Eni rischia di mettere in discussione l'intero impianto strategico della chimica e della raffinazione in Italia”, scrivono i sindacalisti dei chimici, per la protesta di questi giorni.

Ben arrivati sindacalisti, l’impianto strategico della chimica è morto in Italia il giorno che si è spento il cracking della Vinyls di Porto Torres, nel 2010. Iniziando quel processo che in pochi mesi ha portato alla fine del “ciclo del cloro”, con gli impianti gemelli di Ravenna e Porto Marghera. E la conseguente crisi di altri impianti chimici, quelli Lyondell Basell a Ferrara e Terni.

Ma si è ora fuori tempo massimo per un motivo ulteriore. A differenza dei suoi predecessori, il governo Renzi, i sindacati non li calcola proprio. Emilio Miceli, segretario Filctem Cgil, infatti, lamenta che il ministro dello sviluppo Federica Guidi avrebbe già stabilito la validità della riconversione industriale di Gela presentata dall’Eni. Senza consultare i sindacati. “Un modo come un altro per bruciare i tavoli negoziali prima ancora che abbiano avvio”, conclude il sindacalista.

Il futuro di questi stabilimenti è già scritto, e il copione è il medesimo accaduto per la Vinyls: l’Eni è disponibile ad aumentare i propri investimenti, ma solo per la produzione di bio-carburanti. La “chimica verde", con promesse di nuovi impianti, riconversioni e nuovi posti di lavoro. Che, però, non si sa mai quando arriveranno.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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