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Effetto crisi: gli italiani rinunciano al cibo ma non al cellulare

Secondo Confcommercio, in questo periodo di congiuntura economica gli italiani possono fare a meno di un pranzo strutturato ma non di un telefonino connesso a Internet. La spesa per tempo libero, viaggi, vacanze, telefonia è salita dal 15,3% del 1995, al 18% di oggi.
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A cura di Biagio Chiariello
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Gli italiani possono rinunciare anche completamente a mangiare a pranzo, ma non riesce a vivere oltre 60 minuti senza controllare il proprio cellulare. E’ la sintesi deducibile dall’ultima ricerca dall'ufficio studi Confcommercio sulla mutazione di orientamenti di spesa negli ultimi 18 anni. “La spesa totale delle famiglie per tempo libero, viaggi, vacanze, telefonia valeva il 15,3% nel 1995, oggi vale quasi il 18% nonostante la crisi”, aggiunge Confcommercio. Si tratta di una crescita che “riflette le trasformazioni sociali e la maggiore propensione delle famiglie a viaggiare e partecipare a eventi culturali”, per quanto si tratta di un aumento percentuale più baso di altri Paesi in cui la crisi dei redditi è stato più ridotto rispetto all’ Italia. Secondo Confcommercio, dunque, negli ultimi anni c’è stato un generale sorpasso della spesa per i servizi rispetto a quella per i beni (52,3% contro 47,7%) e la crescita della spesa per i pasti in generale (+1,8%) seguita da quelle per il tempo libero (+1,5%) e per mobilità e comunicazioni (+0,6%). 

Si riduce la spesa per l'abitazione (-0,4%) e quella per la cura del sé (-0,6%), con l'abbigliamento giù dell'1,4%, frutto "non soltanto della crisi dei redditi ma anche di nuovi modi di vivere". Guardando in maniera più specifica alle "macro aree" di spesa, ad aumentare di più sono state quelle per servizi ricreativi e culturali, servizi telefonici, telegrafi e telefax, e bar e ristoranti (tutte a +1,1%). Cala significativamente la spesa per combustibili e lubrificanti (-1,2%). "E' l'inerzia e non il cambiamento – riassume l'Ufficio Studi – a determinare i cambiamenti nella struttura dei consumi. Sono le abitudini, le tradizioni e le preferenze radicate, e non la volubilità, a costituire i driver della spesa". Aggiunge Confcommercio: “Il calo di voci di spesa ‘tradizionali’ quali abbigliamento, auto, mobili e arredamento da parte delle famiglie, non è frutto soltanto della crisi dei redditi ma anche di nuovi modi di vivere. I capi classici di valore più elevato attraggono sempre meno consumatori condizionando negativamente i volumi di spesa”.

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