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E se la Crusca potesse emanare leggi? Lo strano caso dell’Accademia della Lingua Ebraica

Dal ’53 lo Stato di Israele accorda a un’autorità accademica il potere di emanare atti con forza di legge sulla lingua che gli enti pubblici devono usare.
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A cura di Giorgio Moretti
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La lingua ci tocca

Non si deve pensare che l’ebraico, cent’anni fa, fosse una lingua unica e omogenea. Certo, c'erano tradizioni linguistiche consolidate come l’ebraico biblico o l’yiddish, ma i parlanti erano sparsi in mezzo mondo, e subivano forti influenze linguistiche da parte di idiomi come il russo, il tedesco, il francese. Anche perché, ad esempio, l’ebraico biblico manca di molti termini che invece già alla fine dell’Ottocento erano essenziali (di equatore, telegrafo e grammofono i patriarchi abramitici non hanno mai parlato).

Quando nel 1948 fu fondato lo Stato d’Israele, venne stabilito che le lingue ufficiali fossero l’arabo e l’ebraico. Ma a ben vedere l’ebraico era ancora molto nebuloso: adunati in Israele, gli ebrei si erano portati dietro una Babele di lingue. Perciò, nel 1953, fondarono l’Accademia della Lingua Ebraica.

Come la fenice, quest'Accademia nasce dalle ceneri del "Comitato della lingua ebraica", fondato dal linguista Eliezer Ben Yehuda (in attività dal 1905) per dare unità all'ebraico, adattando quello biblico alle necessità moderne.

Scopo della nuova Accademia è “guidare lo sviluppo della lingua Ebraica”. Ma come, in che senso? E con che autorità? Ebbene, secondo la legge che la istituì, "le decisioni dell'Istituto in materia di grammatica, terminologia o trascrizione […] saranno vincolanti per le istituzioni dell'educazione e della scienza, per il governo, i suoi dipartimenti e istituzioni, e per le autorità locali."

In sostanza, nel Reshumot (la Gazzetta Ufficiale israeliana, in cui vengono pubblicate le leggi) c'è una sezione con le decisioni dell'Accademia in materia linguistica, che devono essere seguite dagli enti pubblici, fra cui anche l'IBA, la televisione pubblica.

Ciò nonostante l'azione dell'Accademia della Lingua Ebraica è molto discreta. Limita le sue prescrizioni ai discorsi formali e allo scritto. E non solo: non opera sistematicamente per una sostituzione di tutti i termini stranieri con termini ebraici di nuovo conio. Valuta caso per caso se il forestierismo è radicato, se è facilmente pronunciabile, se è un fenomeno culturale, se è così fertile da generare altre parole. Nel caso in cui un'alternativa ebraica sia "conveniente, orecchiabile e appropriata", allora la crea.

In altre parole, usa il notevole potere di cui è investita (un'Accademia linguistica che incide direttamente sul diritto di uno Stato!) in maniera equilibrata, procedendo sul crinale che separa nazionalismo e globalismo. Non a caso chi sente il richiamo di una vocazione internazionale considera certe decisioni dell'Accademia di retroguardia, mentre non mancano voci dei media e della politica che le vedono come troppo progressiste e troppo poco incisive.

Dopotutto, quando il sapere dell'alta accademia percorre la virtù che sta nel mezzo, c'è sempre qualcuno pronto a tacciarlo di mollezza.

E se all'Accademia della Crusca fosse attribuito un simile potere?

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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