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Opinioni

È cappotto del centrosinistra. E l’affluenza non sia un alibi

Il turno di ballottaggio delle elezioni amministrative 2013 segna il trionfo del centrosinistra che vince in 11 capoluoghi su 11. Affluenza bassa (meno del 50%), ma questo è davvero tutto un altro discorso…
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La chiave di lettura più comune ed abusata si basa su un concetto semplice, immediato e incredibilmente consolatorio: ha vinto l'astensionismo. Concetto semplice, perché si ferma alla brutale lettura dei dati sull'affluenza e ad un rapido e poco approfondito confronto con le passate consultazioni. Concetto di immediata comprensione perché non servono analisi articolate per capire che "è preoccupante" l'indifferenza con la quale gli italiani si rapportano alla politica ed alle istituzioni. Concetto incredibilmente assolutorio per gli sconfitti e gli eterni scontenti; per coloro cioè che immaginavano un esito diverso e magari pensavano di celebrare definitivamente il funerale politico di un'area, il centrosinistra, alla perenne ricerca di identità e in agonia dopo il naufragio delle politiche 2013.

Tutto sommato, però, il rifugio nel "problema astensionismo" fa comodo anche al Pd, che può avviare la resa dei conti interna anche cavalcando la favoletta del "riportare alle urne gli italiani", del "segnale da inviare al più presto alla società civile". Non che quello dell'affluenza non sia un "problema", sia chiaro. Ma, mai, in nessun caso può essere un alibi per le forze politiche. Semmai una colpa ulteriore da condividere tra sconfitti e vincitori. Anche perché, sia detto per inciso, basterebbe rendersi conto che la favola del Sindaco di minoranza è una delle più grandi mistificazioni della propaganda politica (un Sindaco "di maggioranza", anche valutata un'affluenza media del 75%, ad esempio dovrebbe ottenere oltre il 75% dei voti).

Insomma, occorrerebbe un po' di onestà intellettuale, anche tra i commentatori. E, posto che l'affluenza è "un altro problema" (per dinamiche, conformazione, decorso storico eccetera), bisognerebbe affermare che, senza dubbio, è il centrosinistra ad aver stravinto queste elezioni amministrative. Stravinto proprio, con un cappotto ai ballottaggi che è la vera sorpresa della tornata elettorale. E con l'acuto di Roma, con Gianni Alemanno (al cui capezzale è inutilmente accorso Silvio Berlusconi) annientato dal candidato che da molti era giudicato il più "improbabile" del centrosinistra (per questa presunta "ostilità" nei suoi confronti dell'elettorato moderato e per la sua continuità con la vecchia politica). Che poi, a guardar bene, non è solo la sconfitta del Sindaco uscente, ma dell'intero centrodestra nella sua capacità amministrativa, del modello Roma, per intenderci.

Probabilmente, dunque, bisognerebbe chiedersi come mai il centrosinistra vince praticamente ovunque, nonostante i partiti sembrino attraversare una delle fasi più drammatiche della loro storia recente. Il Pd è nei fatti commissariato: con lotte fratricide all'interno e con un appoggio al Governo delle larghe intese che, almeno in teoria, divide ulteriormente la sua base elettorale. Sel è nei fatti emarginata all'opposizione, dopo aver rotto l'alleanza elettorale a causa dell'appoggio al Governo Letta. Invece sul territorio la coalizione non solo tiene, ma avanza (lo ripetiamo, il discorso sui voti in termini assoluti ha senso come un paragone tra i tempi della Ferrari tra il 2000 ed il 2013).

E il Pd vince per tanti fattori, in gran parte noti e fin troppo discussi: radicamento territoriale, capacità di mobilitazione della base, scelta dei candidati, "spirito di sopportazione". E anche forse perché ci sono delle questioni che spesso si è portati a liquidare con troppa sufficienza. Ci riferiamo alla discussione fra il partito liquido e quello pesante, ma anche ai "nuovi luoghi della politica" che, evidentemente, quando si tratta del territorio, della vita quotidiana delle persone, non riescono a "sostituire" la concretezza di un impegno e di un lavoro territoriale che è storicamente uno dei punti di forza del centrosinistra. Non ancora, almeno.

Ed è una riflessione che in queste ore dovrebbero fare anche i 5 Stelle, troppo schiacciati su una contrapposizione "uno contro tutti" che a livello locale ha davvero poco senso. Perché la crescita ed il consolidamento del consenso passa (ancora) per la maturazione di una classe dirigente motivata ed in grado di "rappresentare" le istanze dei cittadini. Almeno nel quadro della democrazia rappresentativa, la cui "trasformazione" appare tutt'altro che vicina (in verità sarebbe ora che il Movimento cominciasse a spiegare in che modo intende facilitare una transizione verso la democrazia diretta, al di là del discutibile ricorso al metodo referendario e stante la lentezza con la quale anche al suo interno faticano ad imporsi nuovi strumenti partecipativi).

Il centrodestra invece è in un certo qual modo agevolato. Perché questo è l'ennesimo tracollo, in un percorso di lenta e costante erosione del consenso, solo mascherato dalla ennesima discesa in campo di Silvio Berlusconi alle politiche del 2013. E dove non riesce a penetrare la comunicazione del Cavaliere, la struttura si rivela sempre fragile, incompleta ed inadeguata a fronteggiare l'aggressività del centrosinistra. È il partito dell'uomo solo, solissimo al comando. E per giunta di un uomo che, a differenza di quanto fa il suo avversario più simile, Beppe Grillo, non va più nemmeno nei "vecchi luoghi della politica a livello territoriale", le piazze. E questo sì che è un alibi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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