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Dovete tremare, se sentite la parola “riforme”

Non vi è oggi parola più abusata del lemma “riforme”. I governi impiegano la parola “riforma” con una frequenza che non è esagerato definire ossessiva. Occorre “fare riforme”, sempre e comunque: così sembra potersi compendiare il tragicomico operato di un governo che non pare avere altro scopo se non quello di assecondare i mercati e le politiche di lacrime e sangue di un’Unione Europea che altro non è se non il dominio assoluto del capitale finanziario e del neoliberismo.
A cura di Diego Fusaro
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Graffito "1984 is now", tratto dal romanzo di George Orwell
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Come il termine “rivoluzione” non è più oggi rivoluzionario, così il termine “riforme” ha cessato da un pezzo di essere autenticamente riformista. Quando oggi affiora, inesorabile, la parola “riforme”, occorre allarmarsi: riforme significa sempre privatizzazione e rimozione di diritti sociali, taglio dei salari e norme dettate dalle logiche perverse dell’austerity, la quale può ben essere definita, variando il tema di Latouche, come “decrescita infelice”. È, ovviamente, una situazione del tutto orwelliana, in cui la macelleria sociale viene detta “riforma” e in cui la rimozione coatta di diritti sociali viene pudicamente chiamata “spending review”.

Il progetto, neppure troppo larvato, dell’odierna politica europea è quello del trionfo su tutto il giro d’orizzonte del neoliberismo e, con esso, del nesso di forza finanzcapitalistico, con la complicità oscena delle forze di una sinistra ormai serva del capitale. Rispetto a questa logica illogica, che getta nell’abisso lavoratori e popoli, è del tutto coerente l’incessante ricorso a “manovre”, “aggiustamenti strutturali” e “riforme”, praticate sulla carne viva della popolazione agonizzante e sempre a vantaggio del finanzcapitalismo.

Mentre i più giubilano per l’arrivo delle famose “riforme”, vengono loro rimossi, tramite tali riforme, le ultime garanzie e gli ultimi diritti sociali ancora sussistenti, sempre in nome del sacro dogma della destatalizzazione e della spoliticizzazione dell’economia. Occorre essere chiari e non fare concessioni al coro virtuoso del pensiero unico politicamente corretto. Le “necessarie riforme” presentate come via necessaria per una futura e concreta possibilità di rinascita delle economie non sono che manovre neoliberiste imposte autoritariamente agli Stati in fase di disgregazione da parte del grande capitale finanziario.

Occorre risvegliare la gente dall’incubo in cui siamo, decolonizzando l’immaginario e, con esso, il linguaggio che quotidianamente usiamo: comprendere che cosa davvero significa “riforma” nel lessico eurocratico e finanzcapitalistico può, a questo proposito, costituire un buon punto di partenza.

La formula “ci vogliono le riforme” è, a tutti gli effetti, l’equivalente funzionale di senso del “la libertà è schiavitù” dell’orwelliano romanzo “1984″. Se provo a immaginare il “1984” di Orwell aggiornato e pubblicato, magari, come “2030”, così mi figuro l’incipit:

E poi venne un tempo in cui il conformismo di massa fu finalmente ottenuto. Nessun pensiero non allineato era più possibile. Chiunque ancora avesse osato pensare all’esistenza di uomini, donne e famiglie, subito sarebbe stato silenziato, diffamato e marginalizzato come omofobo. Chiunque avesse osato mettere in discussione le sacre leggi del mercato e dell’ordine neoliberista, subito sarebbe stato silenziato, diffamato e marginalizzato come fascista o, alternativamente, stalinista. Che il falso fosse vero e che 2+2 desse 5 era ormai stato da tutti metabolizzato. La neolingua era ovunque: le criminali politiche di licenziamento erano dette spending review, le aggressioni militari missioni di pace, la schiavitù dei giovani flessibilità.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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