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Il medico: “Pantani aveva un atteggiamento compulsivo verso la coca”

La testimonianza del dottor Greco, che l’ha curato negli ultimi tempi, nei verbali pubblicati dal Corriere di Romagna. Il medico del Sert testimoniava agli investigatori della Squadra mobile: “Ho proposto un trattamento sanitario obbligatorio, la famiglia ha rifiutato”.
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Pantani “aveva un atteggiamento compulsivo nei confronti della cocaina: si isolava per giorni assumendone quantitativi impressionanti, fumandola, inalandola e forse anche attraverso originali composizioni (in soluzione oleosa da instillare nelle narici o forse anche la ingeriva)”. Così testimoniava agli investigatori il dottor Giovanni Greco, il medico allora in forza al Sert di Ravenna che ha curato il Pirata. Greco, riporta il Corriere di Romagna che ha pubblicato i verbali di quelle deposizioni, ha fatto luce anche sulla crisi del 14 gennaio 2004. Un mese prima della tragedia, spiega, i genitori di Pantani lo chiamano più volte: “Mi riferiscono di trovarsi a Predappio e che Marco sta delirando, la Ronchi (la sua manager) mi comunica che il marito li sta raggiungendo. Comunico ai genitori che sono intenzionato a chiamare il servizio di diagnosi e cura di Forlì per avvertirli della situazione ritenendo opportuno un Tso. I genitori si oppongono”. Così mamma Tonina e papà Paolo partono per la Grecia, dove saranno raggiunti dalla notizia della morte del figlio, rinchiuso in una spirale di solitudine allucinata tra Milano e la riviera romagnola.

Campiglio, l'inizio della fine – Dal verbale emerge come la famiglia del Pirata sapesse dell'abuso di cocaina, anche attraverso i movimenti bancari dell'ex campione, bisognoso di procurarsi polvere bianca in dosi crescenti nell'ultimo periodo di vita.. “Quando decideva di fare uso di cocaina non aveva limiti”: si sarebbe sfogato così Ferdinando Pantani, per tutti Paolo,  con gli investigatori della Squadra mobile negli uffici della procura di Rimini dopo la scoperta del cadavere del figlio Marco. Per papà Paolo, i problemi di Marco sono iniziati a Madonna di Campiglio quel 5 giugno 1999, il giorno della cacciata del Pirata dal Giro d'Italia per un tasso di ematocrito oltre il consentito, 53 secondo chi effettuò il controllo. Ma Davide Dezan, che ha curato uno speciale sul caso a dieci anni dalla morte di Pantani, ha raccolto la testimonianza di Roberto Rempi, allora medico della Mercatone Uno, secondo cui la sera prima il tasso di ematocrito di Marco era 48.2-48.3, ben al di sotto del tasso anomalo riscontrato a poche ore di distanza. Su quel test, ancora oggi restano molti dubbi, innanzitutto per la procedura che violava il protocollo del CIO e che per questo si sarebbe potuto annullare con un semplice ricorso, ma nessuno ha mai sollevato il problema. Nemmeno dopo che Pantani si è fermato a Imola per un nuovo test in cui il valore è di nuovo nella norma, a 48. Proprio questa altalena delle piastrine è giudicata anomala: lo fa notare anche il professor Tura, perito della Procura di Trento nel processo a carico del Pirata. Possibile, sostiene, che la provetta sia stata riscaldata falsando così il risultato con il risultato di escludere Pantani dalla corsa. A chi faceva comodo questo scenario? Per il bandito Renato Vallanzasca, c'è dietro la mano della criminalità, per le troppe puntate sulla vittoria di Pantani al Giro che rischiavano di far saltare il banco delle scommesse clandestine. E già dal novembre 1999, così testimonia nella deposizione al processo, la manager Manuela Ronchi viene a conoscenza per la prima volta della dipendenza del campione dalla coca. “Fu lui a confidarmi che purtroppo qualcuno gli aveva offerto della cocaina e per questo si sentiva molto in colpa e mi fece questa confidenza dicendomi: ‘se vuoi sei libera di aiutarmi oppure di non farlo'”.

L'ultima settimana – “Sono a conoscenza del fatto che il giorno 26 gennaio 2004 Marco si recò a Cesenatico per prendere le valigie e ritornare a Milano nell’abitazione della manager dove alloggiava da parecchio tempotestimonia il padre di Pantani. “Ho constatato, facendo accertamenti sul conto corrente bancario intestato a Marco e sul quale io opero in qualità di procuratore che vi fu un prelievo in contanti dell’importo di 12mila euro”, i contanti che Pantani porta con sé dal Jolly Touring di Milano e da cui estrae i 680 euro che versa al tassista che lo porta al residence Le Rose di Rimini. “Dal controllo del suo cellulare (…), mia moglie ha potuto verificare che proprio il giorno 26 gennaio Marco ha effettuato una telefonata” diretta a Fabio Miradossa, che gli forniva la coca e che ha incaricato Ciro Veneruso di portargli quella che risulterà l'ultima dose la sera del 13 febbraio 2004. “C’erano delle persone che Marco chiamava spesso rivolgendosi loro con frasi del tipo Che musica avete? E altre di tenore simile con le quali aveva sicuramente dei contatti per l’acquisto di cocaina, sostanza di cui ha cominciato a fare uso dopo i fatti di Madonna di Campiglio. Inizialmente Marco la sniffava, poi dopo un anno e mezzo ha cominciato anche a fumarla, io me ne sono accorto perché faceva queste bottiglie strane, con un foro da una parte e la carta stagnola sopra, io ho discusso dei suoi problemi con Marco, ma lui era ostinato, pensava di risolvere i suoi problemi con la cocaina. Mia moglie e io abbiamo cercato di risolverli in tutti i modi, ultimamente anche rivolgendoci alla comunità di San Patrignano. Marco era arrabbiato con la gente che lo aveva distrutto nel mondo del ciclismo. L’ultima volta che mia moglie e io abbiamo visto Marco è stato a Milano, a fine gennaio. Un sabato. E in quell’occasione abbiamo litigato e mia moglie è anche svenuta”.

Ultimo chilometro – Testimonianze che vanno a sostenere la tesi di Andrea Rossini, il giornalista del Corriere di Romagna che sulla vicenda ha scritto nel 2004 l'instant book “Ultimo chilometro”. Rossini crede alla versione ufficiale, ai risultati della prima indagine, sostiene che “a uccidere tecnicamente Marco Pantani, è stata la cocaina. E non aveva bisogno che qualcuno gliela facesse prendere a forza: lo faceva da sé, anche sotto forma di crack. Morì in solitudine per un’intossicazione acuta dovuta a un’assunzione abnorme e continuata” di polvere bianca. La Squadra mobile di Rimini, ricorda Rossini, “scoprì che nei momenti bui arrivava a consumare fino a 15 grammi di cocaina al giorno, a volte anche sotto forma di crack”. Rossini non crede alla possibilità di una colluttazione o di un'assunzione forzata di droga, spiega lo spostamento del corpo confermato dalla nuova perizia medico-legale del professor Avato come un semplice risultato dei tentativi di rianimazione, e difende l'inchiesta del pm Gengarelli. Secondo Rossini, dunque, quella di San Valentino è solo la morte di un campione rimasto solo, illuso di poter dominare anche la cocaina, di poter tenere tutto sotto controllo. Al procuratore Paolo Giovagnoli e al al pubblico ministero Elisa Milocco il compito di valutare quanto sia fondata, al contrario, la nuova ipotesi della Procura che ha riaperto il caso come “omicidio con alterazione del cadavere e dei luoghi”.

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