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Doping di Stato, la Russia ammette tutto ma nega coinvolgimento Putin

Alcuni dirigenti russi hanno riconosciuto l’esistenza del sistema di doping, portato a galla dall’ultimo rapporto McLaren. Si sarebbe tratto di una sorta di reazione in quanto “Alla Russia non sono mai state date le stesse opportunità garantite ad altri”.
A cura di Marco Beltrami
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Il rapporto McLaren si è rivelato un vero e proprio macigno per la Russia dello Sport e non solo. L’inchiesta condotta dall’avvocato canadese per conto dell’Agenzia mondiale antidoping ha confermato che più di mille atleti russi avrebbero beneficiato di un vero e proprio doping di Stato. Un trattamento particolare che ha coinvolto addirittura dal 2011, più di 1000 atleti tra Olimpiadi invernali, estive e altre competizioni e che sarebbe stato favorito anche dagli agenti dei servizi segreti russi. Un vero e proprio terremoto che continua a riservare scosse più o meno d’assestamento e che potrebbe portare alla luce nuovi particolari di un vero e proprio sistema studiato nei minimi dettagli.

L'ammissione della Russia

Le ultime novità arrivano dagli Stati Uniti e in particolare dal New York Times attraverso le interviste di alcuni funzionari di Stato russi. Questi ultimi pur respingendo l’intervento diretto nel programma di doping del Cremlino, avrebbero indirettamente ammesso il complotto, accettando dunque il verdetto della Wada e l’esito del rapporto Mclaren. Nessuna contestazione dunque alle conferme sul radicato programma di doping che, a detta dei dirigenti russi però, sarebbe nato come una sorta di difesa contro le pratiche delle nazioni occidentali.

Il doping di Stato come "difesa"

Queste ultime infatti avrebbero giovato di un trattamento di favore da parte delle autorità sportive mondiali. E’ quanto trapela dalle parole dell’81enne Vitaly Smirnov, che il presidente Putin ha chiamato per rinnovare il sistema anti-doping: “Dal mio punto di vista, in quanto ex ministro dello Sport ed ex presidente del Comitato olimpico, abbiamo fatto tanti errori. Dobbiamo scoprire le ragioni che spingono giovani atleti a doparsi, che li portano ad accettare il doping". Per fare questo lo stesso esperto dirigente ha studiato con i suoi collaboratori i file ottenuti dagli hacker russi che hanno sfruttato le reti informatiche del partito democratico degli Usa, per accedere ai dati che confermerebbero i permessi ottenuti dagli atleti degli States per l’utilizzo di farmaci illeciti, utilizzati a scopo terapeutico. Una situazione che avrebbe spinto dunque la Russia, a cautelarsi: “Alla Russia non sono mai state date le stesse opportunità garantite ad altri".

La Russia vuole guardare avanti

Ammissione del complotto dunque ma nessun coinvolgimento da parte del presidente Putin e del Cremlino, come confermato anche da Anna Antseliovich, direttore generale dell'agenzia anti-doping della Russia. Dalle parole di quest’ultima, a quelle degli altri dirigenti dunque trapela la volontà di chiudere un capitolo che anche in termini economici è costato e potrebbe ancora costare carissimo nono solo allo sport, ma a tutta la Russia. Un modo dunque di accelerare i tempi per la chiusura delle indagini e ripartire, permettendo soprattutto agli atleti “puliti” di tornare a competere nei Giochi olimpici e non.

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