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Discarica dei veleni di Bussi, ribaltata sentenza: “Fu avvelenamento colposo”. 10 condanne

La decisione della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila ribalta la sentenza di anni fa che portò all’assoluzione degli ex amministratori e vertici della Montedison. Con questa sentenza è stata interrotta la prescrizione del reato: risarcimento per 3,7 milioni di euro. Dieci le condanne totali.
A cura di Biagio Chiariello
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A Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara, c'è stato un avvelenamento colposo delle acque. È quanto ha stabilito la Corte d’Assise d’Appello dell’ Aquila in merito alla  discarica dei veleni della Montedison. E' stata così ribaltata la prima sentenza di due anni fa della Corte d’Assise di Chieti dove il reato non era stato riconosciuto. Il presidente della Corte, Luigi Catelli, ha anche riconosciuto la sussistenza di alcune aggravanti in merito al reato del disastro colposo. In tal senso viene annullata la prescrizione, consentendo così la condanna di alcuni dei 19 imputati assolti (quasi tutti ex amministratori e vertici della Montedison), il 19 dicembre 2014, dall'accusa di aver avvelenato le falde acquifere, mentre il reato di disastro ambientale era stato derubricato in colposo e, quindi, prescritto.

Dei 19 imputati uno, Vincenzo Santamato, che si occupava di sicurezza ambientale in Ausimont, è deceduto. I giudici della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila, nel riformare radicalmente la sentenza di primo grado sulla discarica dei veleni di Bussi sul Tirino, in virtù dei reati riconosciuti hanno anche stabilito le provvisionali e le spese legali da riconoscere a parti civili. Si tratta di 3,7 milioni di euro così ripartiti: 2,705 mln di provvisionali e 592 mila euro che con gli oneri arriveranno a un milione di spese legali. La sentenza ha così stabilito il principio del risarcimento danno che viene per ora solo coperto parzialmente dalle previsionali, ma il conto successivo sarà fatto in sede civile.

La scoperta della discarica più grande d'Europa – si parla di 25 ettari di rifiuti tossici – risale al 2007 dopo un'inchiesta durata diversi mesi da parte del Corpo forestale dello Stato, coordinato dall'allora pm Aldo Aceto, avviata a seguito del ritrovamento nel fiume Pescara di considerevoli quantità di clorometanoderivati.

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