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“Democratici e progressisti”, i renziani si mettono di traverso: “Sigla già registrata, è nostra”

Comincia con un vero e proprio giallo l’esperienza della nuova creatura nata dalla scissione nel PD. Il nome “Democratici e Progressisti” è già stato registrato e il marchio appartiene a due deputati renziani. Che rifiutano di cederlo…
A cura di Redazione
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Sognavano di nascere originali e invece si scoprirono copie. Quel nome non si tocca. La lista Democratici e progressisti non è altra cosa rispetto al Pd come invece vogliono rivendicare Speranza e compagni”. Sono queste parole, affidate a una nota congiunta di Ernesto Carbone e Ferdinando Aiello, ad aprire la prima, vera, polemica fra il Partito Democratico e i cosiddetti “scissionisti”, parlamentari ed esponenti democratici usciti dal partito dopo la decisione di convocare il Congresso anticipato e le primarie per il 30 aprile.

Oggetto del contendere è il nome scelto dalla formazione promossa, tra gli altri, da Roberto Speranza, Arturo Scotto ed Enrico Rossi: “Articolo 1-Movimento democratico e progressista”. Il nome scelto per il nuovo soggetto politico, però, ricalca quello già depositato in Parlamento nel 2014, che definiva una lista presentata alle elezioni regionali della Calabria, a sostegno dell’allora candidato alla presidenza per il centrosinistra Mario Oliverio. Il simbolo appartiene ai due deputati renziani Carbone e Rossi e al consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea, eletto proprio nella lista dei Democratici e Progressisti (che in totale ottenne tre consiglieri regionali).

Lo stesso Giudiceandrea spiega i motivi per i quali non c’è la volontà di recedere dalla proprietà della denominazione: “L’utilizzo da parte del nuovo movimento del nome ‘Democratici e progressisti’ crea solo confusione sia a noi che a loro. I Democratici progressisti calabresi fanno capo a Matteo Renzi. Sarebbe opportuno che loro facessero un passo indietro e se ciò non accadrà noi prenderemo le opportune decisioni”.

Insomma, il nuovo soggetto politico nato dalla scissione rischia già di "steccare" alla prima, mentre tra ex compagni di partito la prospettiva è quella di finire a discutere in Tribunale.

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