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Decreto competitività: torna l’anatocismo bancario?

Anatocismo sì o no? Se ne parla, in modo alquanto confuso, sui media italiani con l’avvicinarsi dell’esame in Parlamento del decreto “Competitività” che, a sorpresa, contiene la previsione di una reintroduzione del regime dell’interesse composto sui prestiti bancari…
A cura di Luca Spoldi
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Anatocismo sì o no? In Italia se ne torna a parlare dopo che nel Decreto Legge n.91/2014 (cosidetto “decreto  competitività”), attualmente all'esame del Senato, è stata prevista la reintroduzione del calcolo degli interessi composti, appunto l’anatocismo, che la Corte Costituzionale negli ultimi anni ha a più riprese cassato, ad esempio con la sentenza n.78 del 5 aprile 2012, decretando l’incostituzionalità dell'art.2, comma 61, del decreto-legge del 29 dicembre 2010, n.225, il “Milleproroghe”, poi convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2011, n.10, che stabiliva come “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art.2935 C.c. ,si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa” e che “In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Col termine "anatocismo" si intende infatti la trasformazione degli interessi scaduti in capitale, interessi sui quali vengono nuovamente calcolati gli interessi da parte del creditore contribuendo così all’incremento dell’ammontare del debito. Per il Codice civile italiano (art 1283) “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”. Si fa dunque divieto alla capitalizzazione degli interessi ad eccezione dei casi in cui ciò sia espressamente previsto da usi contrari, che è peraltro la situazione verificatasi in Italia dal 1952, quando l’Abi (Associazione bancaria italiana) ha previsto la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per la clientela (ossia quelli pagati dai clienti sui prestiti ricevuti dalla banca),  mantenendo invece una capitalizzazione annuale per gli interessi attivi (quelli che i clienti ricevono sui depositi).

Tutto questo è andato avanti fino agli anni Ottanta essendo accettato pacificamente dalla giurisprudenza ed anzi ribadito più volte dalla Corte di Cassazione sulla base del fatto che l’anatocismo trovava “generale applicazione; si è, pertanto, in presenza di un uso normativo, richiamato dall'art.1283 C.c. e come tale legittimo”. Le cosa cambiarono negli anni Novanta, quando dapprima il Parlamento varava il divieto del rinvio agli usi, nella determinazione del saggio d’interesse nei contratti bancari (art. 4 legge n.154, del 17.02.1992, poi, sostituito dall’art.117 legge n.385 del 01.09.1993, il “Testo Unico Bancario”), decretando di fatto la “morte legale” dell’anatocismo, ma aprendo al tempo stesso un contenzioso infinito, peraltro sempre conclusosi con sentenze  sia in Cassazione sia presso la Corte Costituzionale che ribadivano come le norme dell’Abi non potessero contrastare quanto disposto dall’art. 1283 del Codice civile.

Sancita la (apparentemente) definitiva incostituzionalità dell’anatocismo, la diatriba si è poi spostata negli anni sulla determinazione del termine di prescrizione entro il quale i clienti possono richiedere alla propria banca la restituzione degli interessi illegittimamente addebitati dalla banca stessa e/o versati dal cliente a causa della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per la clientela. Omettendo una più approfondita discussione, segnalo che l’orientamento ampiamente prevalente finora è che le somme si prescrivono nell’arco di un decennio (ossia, nel concreto, potreste ancora oggi richiedere gli interessi “illegittimamente” pagati dal settembre 2004 in avanti, non quelli prima).

Ma perché ora il governo ha cambiato ancora una volta idea, riprendendo peraltro una proposta che già l’ex ministro Tremonti aveva avanzato nel suo ultimo soggiorno in Via XX Settembre? I più maliziosi dicono che si tratti di una forma di “compensazione” per la “stangata” che le banche si sono viste addebitare dopo la rivalutazione forzata delle quote di Banca d’Italia in mano alle banche stesse, vicenda che ha scatenato una discussione dai toni a volte grotteschi con un buon numero di forze politiche e “sociali” che ritenevano tale rivalutazione un “regalo” alle banche: regalo che tale non era se ora si deve trovare il modo di “compensarlo” scaricandone il costo sulla clientela bancaria, evidentemente (ma nessuno ha ammesso di aver toppato ovviamente, anzi).

Banca d’Italia attraverso il suo responsabile del Servizio stabilità finanziaria, Giorgio Gobbi, in audizione davanti alle commissioni riunite 10° (Industria, commercio, turismo) e 13° (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato, contrariamente a quanto sostengono molti media italiani non pare dai documenti ufficiali aver assunto alcuna posizione specifica al riguardo, concentrandosi piuttosto sull’analisi di tematiche quali l’estensione della possibilità di concedere credito anche alle assicurazione, all’istituzione di fondi di credito, alle misure per rafforzare l’Ace (Aiuto alla crescita economica) in particolare aumentando l’apporto di capitale di rischio ed affiancando al credito bancario altre fonti di finanziamento.

Tuttavia lo stesso Gobbi avrebbe dichiarato (a voce?), che l’applicazione di interessi composti è accettata da “qualsiasi paese non abbia una legislazione islamica” (la “sharia” in effetti vieta il calcolo degli interessi, i “riba”, sulle somme prestate, considerandoli una pratica usuraia; cosa che non ha impedito ai banchieri “sharia” di trovare un modo per farsi remunerare per l’attività di erogazione del credito, sia ben chiaro). Anche perché, avrebbe aggiunto Gobbi, “anche abolendo formalmente l’interesse composto lo avremmo sotto altra forma, per esempio sui titoli di Stato e sul finanziamento presso la banca centrale”. Dello stesso avviso, ovviamente, il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, secondo il quale l’anatocismo altro non sarebbe che “una regola di normale matematica finanziaria: si chiama regime dell’interesse composto che lo Stato applica sui Bot”.

Apriti cielo: l’illuminata classe politica del “Bel Paese” non aspettava migliore occasione per tornare a spaccarsi in due, con parte della destra che si dice contraria e pronta a sostenere la battaglia delle associazioni dei consumatori (che logicamente cavalcano la protesta, che da anni dà lavoro ai loro avvocati), mentre la sinistra nicchia e non sa se difendere l’impostazione del governo o cercare di modificarla, magari regolando qualche conto “interno” già che ci siamo e lo stesso governo sembra non sapere che pesci pigliare. In tutto questo, badate bene, non c’è uno straccio di analisi che ci dica quanto la reintroduzione (peraltro “bilanciata”, ossia con applicazione di una capitalizzazione su base trimestrale degli interessi sia attivi sia passivi, per evitare di incorrere in immediate bocciature costituzionali) dell’anatocismo bancario andrà ad incidere sui bilanci di imprese e famiglia, i quali più che dagli interessi pagati (tuttora vicino ai minimi storici) sono in questi anni penalizzati dalla stretta sul credito che prosegue imperterrita come dimostrano i dati che Banca d’Italia diffonde mese per mese. Ma che volete che sia, dopo tutto in Italia l’economia e la finanza sono materie buone per le chiacchiere da bar, o no?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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