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Davigo: “Per mandare a casa un politico non serve neanche la condanna. Basta leggere la sua difesa”

Il magistrato intervistato da Travaglio: “Certi politici si difendono in modo talmente vergognoso che andrebbero mandati a casa solo per quello”.
A cura di Redazione
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Qualche settimana fa si era scatenata una furiosa polemica intorno alle dichiarazioni del magistrato Piercamillo Davigo, cui era stata attribuita la frase “non esistono politici innocenti, ma solo colpevoli su cui non sono state raccolte le prove”. Sulla questione era intervenuto anche Matteo Renzi, che aveva attaccato duramente il referente di “Autonomia e Indipendenza”, corrente dell’Associazione Nazionale Magistrati che ha recentemente rotto con il presidente Eugenio Albamonte.

Ora Davigo, intervistato da Marco Travaglio per Il Fatto, torna alla carica, specificando dapprima il senso delle sue parole: “In realtà io parlavo di un processo specifico: quello di Mani Pulite sulla linea 3 della metropolitana milanese, dove si dimostrò fino in Cassazione che tutte le imprese consorziate versavano la loro quota di tangenti all’impresa capofila, che poi versava l’intera mazzetta al cassiere unico della politica, che poi la distribuiva pro quota a ogni rappresentante dei partiti, di maggioranza e di opposizione. È colpa mia se poi sono stati tutti condannati? È il solito giochino che una volta facevano solo certi politici e certi giornalacci: prendere una frase e isolarla dal contesto per buttartela addosso”.

Poi però si lascia andare a considerazioni che non mancheranno di far discutere, sul concetto di garantismo:

“Io, come tutti i magistrati, non mi sognerei mai di condannare qualcuno sapendolo innocente, perché sono stato educato alla cultura della prova. Noi magistrati esistiamo proprio per distinguere fra colpevoli e innocenti. Ma sappiamo anche che non sono le sentenze che debbono selezionare la classe dirigente e politica: è la politica che deve fare le sue valutazioni autonome sul materiale giudiziario e decidere se certe condotte già dimostrate in fase di indagine, a prescindere dalla rilevanza penale, sono compatibili o meno con la “disciplina” e “l’onore” richiesti dall’art. 54 della Costituzione a chi ricopre pubbliche funzioni.”

E, sulla scia di questo ragionamento, attacca:

“Per mandare a casa un politico a volte non c’è bisogno nemmeno della condanna di primo grado. Anzi, non c’è neppure bisogno dell’accusa: basta la sua difesa. […] Ecco: se i politici facessero pulizia al loro interno quando vengono a sapere cose del genere, le nostre indagini e sentenze non creerebbero alcuna tensione fra giustizia e politica, perché noi processeremmo solo degli “ex”. Invece se li tengono tutti fino alla condanna definitiva, e spesso anche dopo”.

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