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Dall’istigazione all’odio al bullismo: i peggiori crimini commessi sui social network

Il recente caso di Vasto, in cui i genitori di Italo D’Elisa hanno denunciato una ‘campagna di odio sui social network’ che avrebbe esasperato l’assassino del figlio, riapre il dibattito sulle responsabilità di chi, dietro l’apparente anonimato del web, dà sfogo a pensieri e commenti altrimenti indicibili. Quello dell’hate speech è solo uno dei tanti crimini virtuali.
A cura di Angela Marino
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Dal suo ingresso nella quotidianità internet e i social network hanno rivoluzionato la vita delle persone accrescendone la conoscenza, le opportunità, il benessere. Ma nel mondo digitale che ha cambiato le nostre abitudini e la nostra attitudine alla vita esistono degli anfratti oscuri dove si riversa un fiume torbido di odio, rabbia, disagio e corruzione. Un sottobosco di utenti che scaricano tutto ciò che nella vita sociale è sanzionabile e censurabile. Che siano anonimi che si nascondono dietro un nickname o uomini e donne che usano i loro nomi e cognomi, sono tutti inconsapevoli del fatto che i comportamenti del loro alterego digitale sono pericolosi e criminali esattamente come quelli che avvengono nel mondo reale. Esistono diverse categorie di reati che si passano attraverso il web. Dalla diffamazione, allo stalking, passando per il bullismo le molestie sessuali e l’istigazione all’odio, questi comportamenti deviati trovano su internet un acceleratore potentissimo della loro portata.

Hate speech: incitamento all'odio

Di cosa parliamo esattamente nel caso dell’hate speech?  Il reato corrispondente è quello di incitamento all’odio e alla violenza e può configurarsi in manifestazioni di estrema avversione e intolleranza nei confronti di una persona o un gruppo sociale. Su Facebook nascono ogni giorno gruppi che inneggiano alla violenza contro gli immigrati, i rom, o contro determinate categorie. In Italia un caso di condanna per incitamento all’odio e alla violenza è quello che riguarda l’inchiesta della Procura di Genova ha portato all’identificazione di 21 persone, giudicate e condannate per aver incitato all’odio verso una comunità rom, commentando su Facebook un fatto rivelatosi falso. La condanna risale allo scorso 27 gennaio e applica per la prima volta l'istigazione a delinquere su Internet in riferimento alla Legge Mancino sul razzismo. L’odio può essere aizzato anche nei confronti di una vicenda che ha interessato l’opinione pubblica, come si è verificato nel caso di Vasto, dove i genitori di Italo D’Elisa, ucciso dal marito della donna che investì e uccise, hanno denunciato una vera e proprio campagna di odio nei confronti del figlio corsa proprio attraverso i social network. Centinaia di post e commenti contro il ragazzo avrebbero esasperato, secondo i genitori della vittima, la psiche già fragile di Fabio Di Lello, provato dalla morte della moglie nel tragico incidente stradale.

Cyber bullismo

Di natura analoga è il cyber bullismo, un crimine che in Italia non è ancora normato e che è in discussione adesso alla Camera. Molti adolescenti sono presi di mira dai compagni di scuola attraverso gruppi WhatsApp o sulla bacheca della loro pagina Facebook dove i bulli vomitano insulti, commenti inappropriati e minacce. Sono diversi i casi di di ragazzi e ragazze indotti al suicidio dal bullismo online, ne è un tragico esempio il caso di della 14enne Carolina Picchio, morta suicida, nel gennaio del 2013, dopo che era stato diffuso in rete un video a sfondo sessuale in cui era stata ripresa la sera prima in un locale. Carolina si lanciò dal balcone di casa sua dopo aver visto il post di Facebook. 2600 like e altrettanti commenti tracimanti volgarità e insulti. “Scusatemi, non ne posso più”, scrisse prima di togliersi la vita. Nella sua vicenda gli inquirenti hanno indagato i giovani coinvolti per diffusione di materiale pedopornografico senza configurare l’accusa di istigazione al suicidio. Carolina non è l’unica vittima di cyber bullismo, tanto che Facebook ha attivato un modulo di segnalazione proprio per individuare i comportamenti lesivi.

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Revenge porn

Larga diffusione ha un altro crimine chiamato revange-porn e riguarda la pubblicazione e la diffusione su internet di foto di nudo dei propri ex, a scopo di vendetta. Chi diffonde materiale può essere imputabile di mancato rispetto delle leggi sul copyright della violazione del diritto all’immagine, ma è anche passibile di molestie e diffamazione aggravata. Altro caso sono le videochat. Chi induce una persona a spogliarsi in chat o a compiere atti sessuali può essere accusato di violenza sessuale online.

Stalking digitale

Accesso abusivo a sistema informatico e sostituzione di persona sono le accuse in cui si può incorrere nei casi di cyber-stalking, che ha molte altre declinazioni. Non solo si può essere accusati di persecuzione digitale impossessandosi del profilo del proprio compagno o ex, ma anche tempestarlo di messaggi, e mail può configurare un'accusa. Per chi molesta infastidisca o minacci una persona attraverso il web è prevista la condanna al carcere fino a 4 anni: mail, video e messaggi inviati sui social network vengono considerati alla stregua di telefonate e appostamenti sotto casa. Anche le molestie sessuali online sono state equiparate a quelle reali.

Fake

Usare la foto di un’altra persona scaricandola dal suo vero profilo o creare il finto account di una star può portare alle accuse di: violazione dell’identità e dell’immagine, violazione del diritto d’autore e sostituzione di persona. Chi si introdursi nell'account di un altro utente con la password può invece essere accusato di accesso abusivo a sistema informatico. E poi c’è il reato più frequente: la diffamazione. Cioè quando attribuiamo alle persone caratteristiche che ne ledono l’onorabilità.

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