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Credit Suisse: Pil Italia può crescere del 2%

Secondo il Credit Suisse il Pil italiano potrebbe sorprendere e crescere non di mezzo punto percentuale ma del 2%. Purchè Renzi riesca nella sua azione riformatrice, premessa per un rilancio economico (e sociale) del paese…
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A cura di Luca Spoldi
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Una nota dell’Equity Research di Credit Suisse motiva oggi il perché, dopo tre anni che gli esperti svizzeri consigliano di puntare sull’Italia sovrappesando l’azionario italiano, si ritenga ancora utile mantenere il giudizio favorevole al listino italiano, “nonostante il mercato azionario italiano sia ora in ipercomprato” (e dunque siano possibili cali a breve termine delle quotazioni). Le motivazioni a sostegno della decisione di mantenere l’acceleratore a tavoletta sono sostanzialmente quatto e vale la pena di analizzarle perché possono spiegare molto dell’improvvisa “riscoperta” dell’Italia anche da parte di grandi investitori internazionali che quasi non passa giorno senza che investano in titoli quotati a Piazza Affari (è di oggi, ad esempio, la notizia che Fondazione Mps ha ceduto un ulteriore 4,5% al gruppo messicano di private equity Fintech Advisory e un altro 2% a Btg Pactual Europe, riducendo così il suo peso al 5,5% ma siglando al tempo stesso un patto parasociale in base al quale i tre soggetti manterranno una quota del 9% della banca dopo l’aumento di capitale da 3 miliardi previsto per fine maggio).

Anzitutto, spiegano gli analisti del Credit Suisse, il punto di partenza macroeconomico “non è così male come molti investitori sembrano credere: l’Italia ha un surplus gemello (avanzo di bilancio primario e avanzo corrente)” ed ha un “bisogno minimo di inasprimento fiscale per stabilizzare il debito/Pil (soprattutto perché l'Italia ha un sistema pensionistico a contributi definiti)”. Inoltre “la perdita di competitività dell’Italia è meno netta di quanto sia ampiamente ipotizzato (l’Italia ha lo stesso World Economic Forum ranking della Spagna e il costo del lavoro è inferiore a quelli di Germania, Irlanda e Francia secondo i dati Ue)”. Non meno importante, il grado di utilizzo della leva finanziari “è basso” a livello aggregato.

In termini di crescita, poi, gli ultimi segnali giunti dagli ordini alle industrie sono “coerenti con una crescita del Pil del 2% (contro una previsione di consenso di +0,5%) anche prima che debiti arretrati pari al 4% del Pil siano pagati entro la fine dell’anno”. Inoltre “le condizioni del credito stanno migliorando”. L’Italia ha poi “migliorato in modo significativo l’equilibrio esterno negli ultimi due anni, arrivando all’attuale avanzo delle partite correnti dello 0,8% del Pil” mentre le quote di mercato delle aziende italiane “hanno tenuto meglio di quelle di aziende di altre regioni dal 2000 a oggi”. Per essere chiari, insomma, l’euro non ha giocato particolarmente a sfavore delle aziende italiane, nonostante la martellante retorica al riguardo da parte di alcuni economisti in vista della campagna elettorale europea.

Un capitolo a sé nell’analisi del Credit Suisse è dedicato alle riforme che Matteo Renzi ha promesso di promuovere (e che incontrano in Italia un ampio fronte di scettici, non senza ragione, data la difficoltà sistematica con cui anche solo un’opera di “manutenzione ordinaria” è stata portata avanti dalla classe politica italiana negli ultimi 20 anni almeno). Le prospettate riforme politiche dovrebbero secondo gli esperti “consentire di avere maggioranze parlamentari più stabili, le quali a loro volta consentirebbero il varo di nuove riforme del mercato del lavoro, della giustizia e nuove deregolamentazioni”. Tre ambiti dell’azione riformatrice che consentirebbero di aumentare la crescita potenziale italiana di alcuni punti di Pil, ottenendo un effetto multiplo rispetto alle solite “manovre correttive” con le quali ogni anno da troppi anni il governo pro tempore in carica cerca di correggere il tiro di qualche frazione di punto percentuale di Pil.

Tralasciando la quarta e ultima motivazione della propria fiducia nel mercato italiano (valutazioni ancora relativamente basse sulla base di indicatori fondamentali e un numero di giudizi positivi ancora relativamente modesto rispetto alle medie europee, cosa che sembra indicare come gli spazi per ulteriori recuperi delle quotazioni restino ampi), mi si permetta una considerazione finale: c’è chi accusa Matteo Renzi di essere un “Berlusconi di sinistra” e di voler accentrate eccessivamente le leve del potere a scapito della rappresentanza, paventando il rischio di una “dittatura sobria” o di nuovi “governi dei tecnici” che si rivelino, puntualmente, una delusione sia sotto il profilo politico sia sotto quello più propriamente tecnico.

E' possibile (anche se dubito), di certo dal 2000 ad oggi l’Italia ha ottenuto, come ricordano gli analisti di Credit Suisse, la più bassa crescita del Pil procapite tra tutte le principali economie dell’Ocse e negli ultimi 12 mesi ha registrato il più marcato peggioramento nel World Economic Forum ranking sulla competitività di qualsiasi altra nazione dell’euro. La sfida del governo, non si nascondono gli uomini di Credit Suisse, è consistente e le riforme politiche non potranno che essere “una precondizione necessaria” ma non sufficiente “per riforme economiche” senza le quali di ripresa se ne continuerà a vedere poca.

Curiosamente, ma non troppo, anche il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, intervenendo al convegno biennale del centro studi di Confindustria dedicato a “Il capitale sociale: la forza del Paese” ha sottolineato come “non si tratta solo di rimuovere gli ostacoli all’investimento in capitale umano e recuperare i ritardi accumulati nell’adozione di nuove tecnologie”, bensì “sono necessari comportamenti e politiche volti a stimolare gli investimenti fissi” e ad “innalzare le frontiere della conoscenza e della tecnologia”, da cui dipende “in ultima analisi, la crescita del Paese”.

I benefici di un investimento in capitale umano secondo Viscovanno ben oltre i rendimenti monetari e i contributi alla crescita; si estendono alla società nel suo complesso” grazie ad effetti positivi indiretti su una serie di fattori di contesto quali “lo stato di salute, la coesione sociale, il senso civico, il rispetto delle regole, la propensione al crimine”. Grazie a tali investimenti “vengono accresciute fiducia e cooperazione tra i componenti della collettività” e “rafforzato il capitale sociale”. Se gli italiani avessero capito per tempo che prima e oltre che “pesanti” fattori economici sono questi fattori culturali “soft” che consentono ad un paese di progredire, forse non saremmo neppure qui a valutare quanto di vero possa esserci nelle parole di Visco o degli analisti del Credit Suisse.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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