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Cosenza: farmaci antidolore prescritti ma usati come droga, 6 medici indagati

I medici facevano ricette di farmaci contro il dolore cronico a carico del servizio sanitario nazionale, ma le medicine venivano usate da tossicodipendenti come sostituti della droga.
A cura di Antonio Palma
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Farmaci contro il dolore cronico in caso di cancro o altre malattie gravi venivano prescritti regolarmente e quindi a carico del servizio sanitario nazionale ma venivano usati come vera e propria droga legale per sostituire altre sostanze stupefacenti come l'eroina. È quanto hanno scoperto oggi i carabinieri di Cosenza che questa mattina hanno eseguito diverse misure cautelari nei confronti di otto persone, tutti residenti nel Cosentino. Tra di loro sei medici di base, accusati dei reati di prescrizione abusiva di farmaci psicotropi e truffa al sistema sanitario nazionale. Nei loro confronti disposto anche il sequestro preventivo di beni per un valore di di circa 150mila euro.

Secondo qui inquirenti infatti alla base dell'uso distorto dei farmaci vi erano proprio le prescrizioni compiacenti dei medici di base che non si sarebbero fatti scrupoli a dichiarare la necessità del farmaco per persone che in realtà non ne avevano bisogno. L'inchiesta, coordinata dalla procura di Cosenza, ha preso il via da un incidente domestico di cui è stato vittima un bambino di due anni, finito in ospedale per l'accidentale ingestione di un farmaco. Interpellato dai carabinieri infatti il padre del piccolo ha ammesso di non aver bisogno del medicinale ma di usarlo come sostituto dell'eroina attraverso prescrizioni del suo medico.

Una pratica talmente diffusa che, secondo gli inquirenti, avrebbe dato vita per un largo periodo di tempo ad un mercato parallelo tra tossicodipendenti nel Cosentino. Per gli inquirenti i medici coinvolti erano spinti da varie ragioni, tutti però erano consapevoli di dire il falso. Molti di loro accettavano le richieste dei pazienti a causa dell'insistenza di quest'ultimi, in parte spinti dal desiderio di aiutarli, in parte per paura di perdere il paziente, ma in alcuni casi anche per paure di ritorsioni.

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